Ticketless – Elogio dell’anormalità
Sto leggendo un libro appena uscito (Il caso estremo dell’uomo, edizioni Ombre Corte). Lo ha scritto uno studioso già apprezzato per i suoi lavori sull’ebraismo di Svevo, Luca De Angelis. Il libro è assai più di quanto prometta il titolo. Molto di più. Lo definirei un thesaurus. Sono qui raccolte decine e decine di pensieri sulla condizione ebraica nella contemporaneità esaminata come estrema testimonianza dell’esperienza umana. Il titolo viene da una frase di Romain Gary contenuta nel saggio Le judaïsme n’est pas une question de sang (si legge nel volume Delle donne, degli ebrei e di me stesso, 2013). Le fonti più interessanti esaminate da De Angelis sono proprio quelle che parlano di quell’ebraismo di confine, “vestigiale” come lo chiama Yerushalmi. Freud e Benjamin, di solito, sono i nomi più celebri (e celebrati, anche troppo). Qui riscopriamo testi meravigliosi eppure malnoti, purtroppo: il commovente Gary, appunto, o la memoria autobiografica Il mio ebraismo di Gunther Anders. Testimonianze dell’estremo limite, talora anche dell’illecito, come nella Coscienza Svevo definisce il suo legame con la religione dei padri.
Si confermano due cose, la prima fondamentale, la seconda accessoria (ma non troppo). Prima, la cosa fondamentale. Il volume di De Angelis rafforza un’idea che mi porto dietro ormai da tempo: l’ebraismo è un questione di studio (e, dunque, anche di scrittura), più che di fede. Seconda cosa, accessoria… ma poi non tanto: quanto è ingenuo il sogno accarezzato da molti che vorrebbero gli ebrei protagonisti di una storia “normale”. Gli ebrei sono stati e continuano ad essere, per fortuna, “il caso estremo dell’uomo”. Il sogno di diventare personaggi di una storia “normale” non è nemmeno un sogno. Soltanto una stupidaggine. Sai che noia sarebbe se diventassimo normali!
Alberto Cavaglion
(8 gennaio 2020)