“Iran attaccherà ancora per Soleimani ma sarà cauto ed eviterà Israele”
I toni del confronto tra Stati Uniti e Iran sembrano essersi attenuati dopo una settimana ad altissima tensione. L’eliminazione ordinata dal presidente Usa Donald Trump del generale iraniano Qasem Soleimani – responsabile di attacchi contro Stati Uniti e Israele e simbolo della politica aggressiva in Medio Oriente del regime iraniano – ha generato timori e preoccupazioni in tutto il mondo per le eventuali ritorsioni di Teheran sugli americani e i loro alleati. Diversi media italiani e internazionali hanno parlato del pericolo di un nuovo conflitto mondiale. In Israele invece la notizia è stata accolta, seppur con evidente sorpresa, con meno affanno. “Noi siamo abituati alla guerra e a razionalizzare subito gli eventi. L’Iran ha perso una pedina strategica con Soleimani e ha minacciato di vendicarsi. È normale. Non credo però che, nonostante le dichiarazioni, colpirà Israele. Per loro sarebbe troppo pericoloso attaccarci. – spiega a Pagine Ebraiche Yoram Schweitzer, esperto di terrorismo internazionale e già consulente dell’ufficio del Primo ministro israeliano in materia di sicurezza – È molto difficile che si lancino in un confronto diretto e lo dimostra l’attacco contro le basi americane in Iraq pochi giorni dopo l’uccisione di Soleimani: il regime iraniano aveva bisogno di mostrare al suo popolo una reazione muscolare. C’è stata ma è sembrata simbolica: nell’attacco, di cui forse gli americani erano stati preallertati, non ci sono state vittime. Una previsione ragionata mi porta a dire che l’Iran proseguirà su questa strada”. Per Schweitzer come per altri analisti israeliani l’Iran continuerà la sua politica di espansione in Medio Oriente anche senza Soleimani e userà i suoi sodali in Iraq, Siria, Yemen per colpire gli americani. Ma in questo quadro di ritorsioni farà attenzione a evitare il confronto diretto con Israele. “Non credo che gli iraniani, in questa fase, vogliano lanciare missili contro Israele ed espandere il conflitto a livello globale”, spiegava in un’intervista alla televisione israeliana Sima Shine, già capo divisione Ricerca del Mossad e oggi analista dell’Istituto per gli studi sulla sicurezza nazionale di Tel Aviv (INSS – di cui fa parte anche Schweitzer). Per Shine ogni discorso su un “inevitabile conflitto deve essere in qualche modo attenuato”, seppur l’Iran possa portare minacce a Israele attraverso il gruppo terroristico Hezbollah in Libano e le milizie sciite in Siria. A voler attenuare il piano dello scontro, almeno a livello di discorsi pubblici, anche il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Il capo del governo di Gerusalemme ha pubblicamente elogiato la decisione di Trump di eliminare Soleimani ma, riferiscono i media, ha detto privatamente ai membri del suo esecutivo che l’uccisione “non è da considerare un evento israeliano, ma un evento americano”. “Noi non siamo stati coinvolti e non dovremmo essere trascinati in questa vicenda”. Considerazioni ribadite in settimana dal capo del comando meridionale dell’esercito israeliano Herzi Halevi. “L’uccisione di Soleimani ha ramificazioni anche per noi israeliani, e dobbiamo seguirlo da vicino, ma non siamo noi la storia principale qui – ed è un bene che sia successo lontano da noi”, ha affermato Halevi. Un evento lontano ma dagli effetti molto vicini: “Soleimani è da considerare come l’hub delle operazioni del regime di Teheran in tutto il Medio Oriente, dallo Yemen alla Siria. Era un uomo intelligente, feroce ed era diventato sempre più arrogante – spiega Schweitzer – Nessuno si è stupito della sua uccisione. Aveva continuamente provocato gli americani ed era responsabile della morte di migliaia di persone. Si era fatto molti nemici ed è stato eliminato”. Soleimani aveva 62 anni e dal 1998 era il capo delle forze Quds, corpo speciale delle Guardie Rivoluzionarie iraniane incaricato di compiere operazioni all’estero. In un lungo articolo sul New Yorker a firma di Dexter Filkins del 2013 – quando ancora Soleimani non aveva molta visibilità mediatica – veniva definito l’uomo “che sta rimodellando il Medio Oriente”. Vicinissimo alla guida suprema dell’Iran Ali Khamenei, il generale aveva costruito ramificazioni in diversi paesi mediorientali e gestito attacchi contro Israele e Stati Uniti su più fronti. “Soleimani ha preso il comando delle Forze Quds quindici anni fa, – scrive Filkins nel 2013 – e in quel periodo ha cercato di rimodellare il Medio Oriente a favore dell’Iran, lavorando come intermediario di potere e come forza militare: assassinando rivali, armando alleati e, per la maggior parte del decennio, dirigendo una rete di gruppi militanti che hanno ucciso centinaia di americani in Iraq. Il Dipartimento del Tesoro statunitense ha sanzionato Soleimani per il suo ruolo di sostegno al regime di Assad e per aver favorito il terrorismo. Eppure è rimasto per lo più invisibile al mondo esterno, anche mentre dirigeva milizie e operazioni”. Il suo potere non ha fatto che crescere negli ultimi sei anni ma anche la sua arroganza, afferma Schweitzer, e alla fine il Presidente Usa Donald Trump ha deciso per l’opzione più estrema ma giustificata, l’uccisione mirata. “La macchina iraniana, in politica estera, ora ci metterà del tempo a riassettarsi: quando elimini un elemento così centrale, tutte le operazioni hanno battute d’arresto ma questo non vuol dire che l’Iran si fermerà. Hanno perso un uomo chiave ma comunque avevano subito pronto un sostituto. Il loro obiettivo è quello di allontanare gli Stati Uniti dall’Iraq e non è detto che l’uccisione di Soleimani non venga sfruttata in questa direzione”. Per l’analista israeliano non è probabile che Teheran attacchi turisti americani in giro per il mondo ma è più probabile che colpisca basi militari Usa per avere un conflitto a bassa intensità e cercare di mantenere i rapporti con l’Europa. “Mi sento di escludere attacchi in Europa, sarebbe controproducente per l’Iran”. Sul fronte israeliano Schweitzer spiega che le dichiarazioni del Capo di Stato maggiore Aviv Kochavi di due settimane fa – “C’è la possibilità di un confronto limitato con l’Iran e ci stiamo preparando per questo” – non è allarmismo ma un messaggio alla società israeliana sul fatto che il regime degli Ayatollah costituisca un pericolo concreto. “Da noi c’è un detto: chi vuole la pace si prepari alla guerra. È questo era il messaggio di Kochavi”. “Se guardo i nostri confini – aggiunge – non vedo al momento un pericolo immediato da parte di Hezbollah o della Jihad islamica a Gaza”. Sui negoziati tra Israele e Hamas, il gruppo terroristico che controlla Gaza, l’esperto afferma che bisogna vedere quanto i palestinesi siano seri nelle loro affermazioni. “Non so a che punto siano ma di certo la visita del leader di Hamas (Hanyeh) a Teheran per i funerali di Soleimani non cambia la situazione. I negoziati non ne verranno intaccati. È una questione di pragmatismo”.
Daniel Reichel