La Benevento ebraica

Benevento, come molti Comuni campani, ospitava una comunità ebraica dalle origini secolari. La prova di ciò viene dal ritrovamento di due lapidi databili al V sec., esse erano dedicate ad Acholitus Senior e Faustinus Senior. l’appellativo Senior, dato ai due personaggi, indicherebbe un ruolo di rilievo in ambito comunitario e dovrebbe essere l’equivalente del titolo di presbitero. Il titolo di Senior si riscontra in alcune lapidi sepolcrali delle catacombe di Venosa databili nella stessa epoca. La prima testimonianza storica certa della presenza di Ebrei a Benevento è segnalata verso l’836, essi facevano parte del ceto mercantile durante il principato di Sicardo, Principe longobardo e godevano della sua protezione, così come quelli di Amalfi. Ciò era dovuto alla necessità di dare impulso ai commerci che erano quasi nulli a causa della grande arretratezza delle aree interne sotto il dominio longobardo.

Verso l’ 850 si attesta la presenza del celebre maestro della Cabbalà Abu Aron Ben Semuel di Bagdad che, sbarcato a Gaeta, vi soggiornò per un periodo prima di riprendere il suo viaggio verso alcune comunità della Puglia. In questo stesso periodo si ha conoscenza della periodica presenza di ebrei della città di Oria che avevano commerci nella città beneventana. Tra questi si ha memoria dei fratelli Shefatiah ed Eleazar Ben Amittai. Nel 985 Hananel figlio di Paltiel da Oria lasciò l’Africa del nord, dove era stato condotto con la sua famiglia dai Corsari musulmani dove furono venduti come schiavi. Suo padre, però, grazie al suo ingegno diventò un grande dignitario e riuscì a riscattare non solo sé stesso ma anche i suoi familiari. Paltiel prese stabile dimora a Benevento dove prese in moglie una certa Ester, probabilmente una sua cugina, in quanto figlia di un suo parente. Dalla loro unione nacquero quattro figli Shemuel, Shabettai, Papoleon e Hasadiah. Successivamente il primogenito Shemuel si trasferì a Capua, Shabettai e Papoleon ad Amalfi e Hasadiah in Africa presso suo cugino Paltiel. Intorno all’anno mille l’importanza della comunità Ebraica di Benevento ebbe ad accrescersi notevolmente grazie all’intensificarsi dei rapporti con gli ebrei pugliesi per il commercio del grano. La citta di Benevento fu in questo agevolata dalla felice posizione strategica situata nel punto in cui l’Appia antica si collegava alla via Traiana e dove confluivano le strade che provenivano dai porti sul mediterraneo e da dove dipartivano quelle che collegavano i centri urbani del Sannio.

A Benevento confluivano i prodotti agricoli della Puglia e del Sannio che venivano scambiati con quelli prodotti dalla manifattura ebraica locale: pellame, tessuti, sete e drappi.

Intorno all’anno mille esistevano una serena convivenza tra la locale comunità ebraica e la popolazione cristiana che allarmò i vertici della chiesa locale. Il motivo di rottura di questa idilliaca convivenza, non si deve alla curia quanto ma al principe longobardo Landolfo VI che era riuscito a rimpossessarsi di Benevento nel 1054. Egli avviò una intensa campagna conversionistica nei confronti della popolazione ebraica che risiedeva nei suoi domini e Benevento ne fu particolarmente colpita. Gli ebrei rivolsero una supplica al Papa Alessandro II (1061-73) che prese le loro difese. Egli rimproverò ed ammonì il principe Landolfo adducendo il fatto che la conversione degli ebrei doveva essere ottenuta con la persuasione e con l’amore, non con la forza. La situazione, fortunatamente, mutò alla morte di Landolfo VI. Nel 1077 la chiesa romana prese definitivamente possesso di Benevento e i suoi ebrei dovettero, da questo momento, rapportarsi solo con il potere della Chiesa e con nessuna autorità del potere secolare. Il primo provvedimento preso dal governo pontificio, nei loro confronti, fu quello di assicurarsi la tassa sulle tintorie che, fino a quel momento, era stata di esclusivo appannaggio dei principi longobardi. Nel 1165 Benjamin da Tudela, viaggiatore medievale partito dalla Spagna verso l’oriente nella sua peregrinazione visitò molte comunità italiane, tra cui Benevento. Dalle sue note di viaggio veniamo a sapere che in questa città risiedevano ben 200 famiglie quindi circa 1000 – 1200 persone. Dal suo diario di viaggio il Sefer Massa’ot, il celebre viaggiatore spagnolo ci porta a conoscenza di ulteriori informazioni. La comunità era retta da tre rabbini: rabbi Qalonimos, rabbi Zerah e rabbi Avraham. Da questa informazione noi possiamo dedurre che a Benevento doveva esserci una scuola rabbinica (Yeshivàh) ma anche l’esistenza di un Bet-Din da loro presieduto. L’esistenza in questo periodo di una solida comunità ci viene anche da ritrovamento di due lapidi: erano scritte in lingua ebraica. La prima lapide, datata 1 Shevat 4913 (29 dicembre 1152) ci ricorda un certo Shemuel Ben Isaac, l’altra, invece, datata 21 Kislev 4914 (9 dicembre 1153) ricorda Jacov Ben rabbi Hizqiyyah il maestro. Inoltre l’esistenza di un quartiere ebraico è storicamente attestata nel 1198.

A partire dal 1270 le vicende dell’ebraismo meridionale iniziarono a cambiare a causa della propaganda antigiudaica intrapresa da Manuforte di Trani ebreo convertitosi al cristianesimo nel 1267. Essa iniziò a sortire i primi risultati nel 1272 1273. In questo periodo ne subì le conseguenze la comunità di Avellino, alto il numero di abiure, come attestato dalle notizie presenti nel registro angioino vol. IX è da presumere che ne fu colpita anche la comunità di Benevento. Ma la vera tempesta si abbatté sull’ebraismo meridionale a partire dal 1288. La campagna conversionistica intrapresa in questa data, cercava di ottenere la conversione dietro l’elargizione di donativi e privilegi in modo da ottenere con le lusinghe l’abiura dall’ebraismo del maggiore numero di persone. Furono, però, le due successive campagne, quella del 1290 e quella del 1294, condotte dai Frati Domenicani e improntate sul terrore, a riscuotere i maggiori risultati. La paura che si diffuse presso le comunità ebraiche produsse negli individui una psicosi della disperazione. Durante questi quattro anni il numero delle conversioni fu talmente alto, che alla fine di questo periodo la popolazione ebraica del sud Italia risultava dimezzata (*Nicola Ferrorelli in “Storia degli ebrei nell’Italia Meridionale”). Benevento non ne fu esente e il numero dei convertiti dovette essere notevole tanto che la Sinagoga fu trasformata in chiesa con il nome di Santo Stefano dei Neofiti. La stessa cosa che avvenne in molte altre località come Trani per le sue quattro sinagoghe e Napoli dove fu requisita e trasformata in chiesa la Sinagoga Grande, a richiesta e ad uso dei neofiti a cui fu dato il nome di Santa Caterina Spina Corona.

Queste conversioni, in massima parte forzate portarono solo dei problemi e questo lo si può dedurre proprio dalla storia di Benevento. Nel 1374 durante il Concilio Provinciale tenutosi in questa città si arrivò alla conclusione che non era di alcuna utilità forzare gli ebrei alla conversione perché si era constatato che molti ritornavano al Giudaismo.

La vita degli ebrei di Benevento era regolata da una serie di Editti e Ordinanze emanate dai vari Pontefici, come quella del 3 luglio 1470 di Papa Paolo II che oltre a regolamentare i commerci dava disposizione per tutelarli da angherie e soprusi. Le loro attività commerciali comprendevano: la tintoria, la tessitura – molto rinomato e ricercato era il Drappo Beneventano – la concia e la lavorazione del pellame e, a partire dal 1400, l’attività creditizia su pegno. Essi si erano specializzati nella compravendita di grosse partire di grano, non solo quelle prodotte in loco ma anche in provincia di Foggia e Campobasso. E successivamente, a partire dal XVI secolo anche di mais.

Per un breve periodo in cui Benevento era rientrata sotto il Regio controllo, essi godettero della protezione del Re Alfonso di Aragona che nel 1442 concesse loro alcuni privilegi in particolare per coloro che esercitavano la professione medica. Tra questi si ricordano: Manuel Aronis, Daniele David e Romagnolo Serpe. Nel 1458 essi ritornarono, e questa volta definitivamente, sotto il controllo dello Stato della Chiesa e questo fu il motivo per cui la comunità di Benevento fu risparmiata dagli editti di espulsione dall’Italia meridionale del 1511 e del 1541. Nel 1483 abbiamo la notizia che Abramo di Daniele Ebreo di Piedimonte Matese, ammalatosi di peste, nominò per testamento tutore dei suoi figli, Mele di Benevento cittadino di Ariano Irpino. Dalla notizia di una Disputa avvenuta tra le autorità di Benevento e quelle del Comune di Montesarchio Irpino, veniamo a conoscenza che nel 1492 vi fu una sommossa popolare contro gli Ebrei. Angelo di Benevento e i suoi parenti per salvare i loro beni da un eventuale saccheggio del quartiere ebraico, li avevano lasciati in custodia a un certo Salvidio ebreo che abitava a Montesarchio. Le autorità cittadine se ne erano impropriamente impossessate. Contro di loro fu emessa da quelli di Benevento, un’ordinanza con la quale si chiedeva l’immediata restituzione dei beni a i legittimi proprietari. Nel 1492 l’arrivo dei profughi dalla Spagna fece sì che anche a Benevento si insediassero alcune famiglie, tra questa la più importante era quella degli Usillo. Altri, dopo un breve soggiorno nella città sannita, si spostarono e presero dimora a Guardia San Framondi dove si dedicarono al commercio del pellame nel quale acquisirono, in un breve lasso di tempo, l’egemonia. Nel 1496 il Papa Alessandro VI (1492 – 1503) riconosceva il pieno diritto della Comunità Ebraica di Benevento di risolvere le loro controversie utilizzando il tribunale rabbinico e imponeva al Governatore della città di riconoscere giuridicamente valide le sentenze emesse. Con il suo successore Papa Giulio II (1503 – 1513) si ha un brusco cambiamento di tendenza: con una ordinanza del 1503 egli pose gli ebrei della città sotto il diretto controllo della curia Arcivescovile, in questo modo veniva sottratta alla comunità non solo l’autonomia giuridica ma le veniva anche precluso implicitamente di avvalersi dei quella laica, inoltre veniva stabilito che tutte le controversie ancora in essere presso il tribunale laico, dovevano essere velocemente concluse. Da questo momento la prerogativa di giudicare gli ebrei diventava competenza esclusivamente Ecclesiatica. Il Pontificato di Giulio II varò una politica di irrigidimento sulla comunità ebraica beneventana ed un maggior controllo dei neofiti, gli ebrei convertiti, della cui conversione la Chiesa dubitava l’autenticità. Questo fu il motivo per l’insediarsi del tribunale dell’inquisizione. Già dal 1504 esso iniziò ad operare, in un documento redatto dal notaio Marinus de Maurellis, appare un elenco di Neofiti sospetti di Giudaizzare. Di questi, i primi ad esser arrestati e rinchiusi nelle carceri del castello furono i fratelli Cesare Capuano e Giovanni Capuano di professione medico, entrambi originari di Manfredonia. L’accusa mossa ad entrambi era quella di una falsa conversione al cristianesimo. Venne designato come inquisitore Generale Frate Barnaba Capograsso di Salerno. Questi appena insediatosi intensificò le indagini. La situazione precipitò in poco tempo. Il terrore iniziò a diffondersi tra i convertiti quando l’inquisitore emanò nuovi ordini di carcerazione. Papa Giulio II comprese che la situazione era più grave di quando avesse potuto immaginare e preoccupato che l’eresia potesse contagiare altri convertiti inviò, dandogli pieni poteri, il vescovo Giovanni Ruffo da Bertinoro. Il processo che ne seguì e le dure condanne emesse ci danno la misura della volontà del Ruffo di voler stroncare sul nascere tale problema. Dagli atti del processo sappiamo che si riconciliarono e abiurarono il giudaismo, Francesco Fontanarosa e Benedetto di Gaeta che videro in tal modo, tramutata la condanna a morte in quella del carcere perpetuo. Non vollero riconciliarsi e furono per questo motivo affidati al braccio secolare e quindi consegnati al boia, Matteo Fontanarosa e sua mdre Dulcinbene; tre fratelli: Cesare Capuano che fu solo bruciato in effige perché riuscì ad evadere e a fuggire, Teodorico Capuano e Giovanni Capuano con la loro madre Speranza; Giovanni di Sisto e Rossella di Luceria. La sentenza venne subito eseguita dal Governatore Iacomino Iuliano. Il 14 giugno del 1505 i condannati furono condotti presso la chiesa di Santa Croce Fuori le Mura che apparteneva al Monastero benedettino di San Vittorino. Davanti a una folla immensa tutti i cittadini di Benevento erano venuti ad assistere all’esecuzione, i condannati furono prima impiccati su un’enorme forca costruita per l’occasione e successivamente bruciati in modo che di loro non restasse nulla. Inoltre furono bruciate in effige delle donne che erano riuscite a fuggire, erano le mogli e le congiunte dei condannati. Il vescovo Ruffo si accanì particolarmente contro di loro iniziando una spietata ricerca delle sventurate. Riuscì a scoprire che si erano rifugiate a Manfredonia, dove avevano parenti, per trovare un modo da lì per raggiugere la Turchia. Esse erano: Ginevra Capuano, Stella Capuano, Gisotta Capuano e la sua figliola Carmina.

Il Vescovo fece pressioni sul Viceré Consalvo Cordova che inviò una missiva al Governatore della cittadina pugliese con la quale chiedeva di procedere alla cattura delle fuggitive e di consegnarle al tribunale dell’Inquisizione. Non sappiamo se le suddette furono catturate o se, invece, riuscirono a riparare in levante. La cosa certa è che in questo periodo l’inquisizione a Benevento continuò ad operare. Furono emesse altre condanne alla pena capitale nei confronti di:

Pietro Russo, 30 giugno 1505; Francesco Russo fratello di Pietro, 8 luglio 1505; Monica Russo 12 luglio 1505. Nel 1524 Papa Clemente VII (1523 – 1534) stabilì che gli ebrei di Benevento dovevano dipendere dal Cardinale Vicario. Egli chiedeva un maggior controllo sulla comunità locale e una riscossione fiscale più ferrata. Con il passare degli anni i rapporti tra la comunità ebraica e il governo cittadino continuarono ad essere buoni nonostante il costante giro di vite da parte della Curia Romana. Sappiamo da alcuni documenti conservati presso l’archivio di Benevento che essi, nel 1539, concessero un prestito di 16 ducati che servirono per i monaci di S. Lorenzo.

25 scudi d’oro furono prestati da Moises di Sora per l’acquisto di un cavallo che fu donato al figlio del Viceré, don Garcia de Toledo. Il 25 luglio 1546 l’ebreo Azaria prestò al Comune 28 ducati e il 28 luglio 8 scudi furono dati da Raffaele Yayr. Il 20 giugno 1548 fu riscattata dal Comune una vigna data in pegno su prestito. Nel 1548 il Comune ottenne dalla Comunità un prestito di 25 scudi d’oro. Il 4 dicembre del 1549 madama Sara diede n prestito al comune 4 ducati. Nello stesso mese Zaccaria Israel e Abramo Camillo diedero 17 ducati, 2 tarì e 10 grani. Il 10 ottobre 1550, 12 ducati furono dati dall’ebreo spagnolo Raffaele Usiglio e 5 ducati da Emanuele Yayr.

(Giuseppina Luongo Bartolini, “Ebrei in Benevento”)

Da queste notizie si evince che a partire dalla fine del 1400 l’attività principale degli ebrei di Benevento diventa il prestito.

Perché avviene questo cambiamento?

La spiegazione ci giunge da una missiva del 2 maggio 1550 inviata da Papa Giulio III (1549 – 1555) nella quale veniva stabilita una regolamentazione del commercio del grano il cui fine era quello di danneggiare i commercianti ebrei. Si faceva loro divieto di possedere granai sia in campagna che in città e qualora vi fossero, la quantità di grano doveva essere solo quella che poteva servire a loro uso e consumo. L’imposizione di questa norma non rimase priva di conseguenze e determinò il progressivo impoverimento e decadenza della comunità ebraica. Con il concilio di Trento le cose per gli ebrei cambiano e in special modo per quelli beneventani. Nel 1555 Paolo IV emise un decreto contenete norme molto restrittive e discriminanti nei loro confronti il cui fine era quello della loro conversione. Successivamente, con l’editto di Pio V (1555 – 1572) del 26 febbraio 1569 furono cacciati gli ebrei dai domini della chiesa tranne per la città di Roma e di Ancona dove furono istituiti i ghetti, nei quali i derelitti dovevano essere concentrati. Per quelli di Benevento fu stabilita l’espulsione e veniva loro concesso il termine di due mesi per la partenza, pena per la non ottemperanza dell’editto, la perdita di tutti i loro beni e la messa in schiavitù. Alcuni decisero di rimanere, impossibilitati a lasciare il territorio legati come erano alle loro attività commerciali. In quest’anno si registrano ben 27 conversioni, non si comprende se di singoli o di capi famiglia. Nell’estate del 1559 si convertì anche l’ebreo spagnolo Raffaele Usiglio. Membro insigne della comunità, con sua moglie Perna e i suoi figli. Data la sua elevata posizione sociale la sua conversione avvenne a Napoli in pompa magna con la presenza del Viceré e delle maggiori Autorità cittadine. Furono riammessi a Benevento nel 1617 dopo insistenti richieste dei consoli che vedevano il loro ritorno utile al rilancio dei commerci. Essi vi rimasero fino al 1630, quando, durante l’epidemia di peste, furono accusati di diffondere il morbo avvelenando i pozzi.

Successivamente nel 1800 alcune singole famiglie o singole persone vi presero dimora. Nel 1848 vi impianta un’attività commerciale legata molto probabilmente ai tessuti o a suoi derivati Isacco Tagliacozzo, figlio di Salvatore e fratello di Samuele che nel 1890 si stabilì a Napoli dove tuttora i suoi discenti vivono.

Con questa notizia si chiude definitivamente una pagina di storia dell’ebraismo meridionale.

Ciro Moses D’Avino

(15 gennaio 2020)