I ragazzi di Teheran
Spesso i popoli che abitano il Medio Oriente vengono raccontati da certi sostenitori radicali dello “scontro di civiltà” come dei barbari non troppo lontani dalle bestie, senza troppe distinzioni. Come fanatici che lapidano le donne per le strade, partecipano esultanti alle esecuzioni pubbliche, e a seguito di un attentato terroristico si riversano poi per le strade a distribuire dolcetti e bevande per festeggiare. Le proteste nelle piazze di questi mesi in Iran, come quelle ultime correlate al ricordo delle vittime del Boeing ucraino abbattuto dalle Guardie rivoluzionarie, dovrebbero cercare di smontare questa visione monolitica e stereotipata. Da sostituire inoltre con le immagini degli universitari che durante le stesse occasioni si sono rifiutati di calpestare le bandiere americane e israeliane disegnate dalle autorità iraniane sull’asfalto in segno di disprezzo per questi paesi. «Non vogliamo calpestare bandiere perché non vogliamo nemici, non vogliamo la guerra, vogliamo un governo responsabile» spiega Amir, un trentacinquenne, intervistato su Repubblica, «Quelle bandiere sono propaganda, e le persone sono stufe della propaganda, abbiamo problemi economici e sociali di cui il governo dovrebbe occuparsi ma non lo fa». Per quanto l’Iran sia governato da una dittatura teocratica, repressiva e totalitaria esistono nel paese numerose zone d’ombra che restano impermeabili alla propaganda del regime, tra queste vi sono naturalmente le università.
Quattro anni fa, ospite a Edirne da un’amica iraniana, ricordo come in occasione della morte di Shimon Peres, ella mi rivelasse criticamente il modo disprezzante con cui la notizia veniva presentata dalla TV di stato iraniana. Riflettei allora su come fosse complesso conservare un pensiero critico e distante nonostante un’esistenza trascorsa in un regime totalitario fondato sulla propaganda e l’edificazione di capri espiatori.
Probabilmente i ragazzi di Teheran che si sono rifiutati di calpestare delle bandiere sull’asfalto, non sono dei sostenitori di Donald Trump, il quale qualche giorno prima aveva minacciato di “colpire 52 siti culturali iraniani”, pensarlo sarebbe dare credito a chi ritiene che le manifestazioni studentesche “siano pilotate dall’occidente”. Semplicemente ci ricordano la stupidità, caratteristica della propaganda, dell’odio per un intero paese e soprattutto per la popolazione che là vi vive, per quanto poi si possano eventualmente criticare le rispettive politiche governative. Un’operazione, stranamente non così immediata, che anche noi europei abbiamo difficoltà a concepire.
Francesco Moises Bassano