La testimonianza di Liliana Segre “Non odio. E per questo sono libera”
“Mi spiace da matti avere 90 anni e avere così pochi anni davanti. Anche se ho gli odiatori che mi augurano di morire tutti i giorni, a me dispiacerebbe morire”. Con un sorriso la senatrice Liliana Segre liquida chi perde tempo in rete ad augurarle del male o ad insultarla e dà una lezione ai 2000 studenti arrivati all’Arcimboldi di Milano per ascoltare la sua testimonianza. Un appuntamento che oramai è una tradizione, organizzato dall’Associazione Figli della Shoah con il Corriere della Sera. Nel raccontare della sua esperienza ad Auschwitz, la senatrice racconta che al campo di concentramento, nonostante tutto, “noi sceglievano la vita”. “Vita è una parola importantissima che non va dimenticata mai, perché non si torna mai indietro. – ha sottolineato Segre, accolta da una standing ovation – Non bisogna perdere mai un minuto di questa straordinaria emozione che è la nostra vita”.
All’incontro milanese ha partecipato, assieme al presidente onorario del Memoriale della Shoah Ferruccio De Bortoli, anche il ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina, che alla Testimone ha garantito: “Siamo noi la sua scorta, tutta la scuola si onora di essere la scorta contro ogni rigurgito negazionista e fascista e contro ogni odio e nella difesa della Costituzione italiana”. Poi rivolgendosi ai ragazzi: “Non sottovalutate mai la potenza dell’odio, fate delle parole che ascoltate oggi un faro e una guida. Tornate a casa, elaborate e comportatevi di conseguenza”. “Come ministero lavoreremo per farvi cittadini attivi e consapevoli”, la promessa del neoministro che ha partecipato al viaggio della Memoria organizzato dal Miur assieme all’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
Nel suo intervento, Segre ha ripercorso la storia della sua persecuzione, dall’esclusione dalla scuola a causa delle Leggi razziste del 1938 fino alla deportazione con il padre ad Auschwitz, dopo essere stati respinti al confine con la Svizzera. Il padre morirà nel lager mentre lei, adolescente, riuscirà ad aggrapparsi alla vita e sopravvivere fino alla liberazione del campo. “Mi ero nutrita di odio e di vendetta. Sognavo la vendetta, quando il mio carceriere buttò la pistola ai miei piedi, io la vidi e pensai: “Adesso lo uccido”. Mi sembrava il giusto finale di quello che avevo sofferto. Fu un attimo irripetibile. Ma capii che non avrei mai potuto uccidere nessuno. Non raccolsi quella pistola, da quel momento sono diventata quella donna libera, quella donna di pace che sono anche adesso”.