Un ebreo a Moena
Vai a Moena, nel cuore della Val di Fassa, per passare qualche giorno di riposo e passeggiare ai piedi delle Dolomiti, e – chi l’avrebbe detto? – ti ritrovi nel pieno della prima guerra mondiale e poi nel vortice della Shoah. Un potente inatteso coinvolgimento causato da tre belle mostre organizzate dal Comune di Moena, dall’Institut Cultural Ladin “Majon de Fascegn” e dall’Associazione “Sul fronte dei ricordi”: “1914-1918. La Gran Vera: Galizia, Dolomiti, Richard Löwy: un ebreo a Moena” il titolo complessivo delle tre esposizioni, dedicate rispettivamente ai combattimenti sul fronte austro-russo della Galizia dove furono dislocati in massa gli italiani e i ladini del Trentino (sudditi dell’Impero asburgico) per evitare loro possibili defezioni a favore dell’Italia nemica, al conflitto nel territorio dolomitico e ai suoi pesanti effetti sulla popolazione locale, alla figura esemplare del tenente ebreo austriaco Richard Löwy che dal 1914 al 1916 fu di stanza a Moena aiutando in modo concreto gli abitanti della zona nella loro difficile lotta per la sopravvivenza.
Le due sezioni dedicate alla Grande Guerra in Galizia e sulle Dolomiti sono sapientemente costruite: foto di grande impatto emotivo corredate di ampi pannelli illustrativi, la vera e propria ricostruzione delle trincee e di postazioni belliche in cui avventurarsi tra rifugi e nidi di mitragliatrici permettono una comprensione storica generale del conflitto e delle sue molteplici conseguenze, con l’occhio particolarmente attento alla prospettiva delle valli alpine del Trentino. Ma certo il nostro interesse è calamitato soprattutto dalla toccante vicenda di Richard Löwy, ripercorsa attentamente anche dal bel catalogo di Giorgio Jellici.
Nato nel 1886 a Zàsmuk (oggi Zàsmuky) in Boemia da una famiglia della buona borghesia ebraica presto trapiantatasi a Vienna, Löwy si laurea in ingegneria per essere catapultato poco dopo nel tragico crogiolo della prima guerra mondiale. Ufficiale del Genio, viene inviato a Moena in Trentino, sui confini austro-italiani, prima ancora che l’Italia entri in guerra a fianco dell’Intesa. Ma dal maggio 1915 quel settore è un fronte caldo di scontri, reso ancora più teso dalla presenza di una popolazione in gran parte italiana anche se appartenente all’Impero. Occorre rendere il terreno sicuro e protetto rafforzando le difese, cosa che il tenente Löwy, ormai responsabile delle posizioni imperial-regie della zona, realizza con la sua efficienza da ingegnere. Ma non è la capacità tattico-strategica a caratterizzare il suo agire nei circa due anni trascorsi a Moena e a renderlo presto amico della gente del posto. Nel quadro di un’amministrazione ormai di fatto militarizzata, egli sfrutta la sua autorità per aiutare le famiglie contadine: organizza e dà lavoro a una cooperativa di donne nella sartoria, promuove l’attività di supporto locale degli uomini per ridurre il numero di coloro che in nome di un principio disumano sono mandati a sparare sui Russi e a morire in Galizia. Si sforza così di dare respiro alla popolazione e all’economia locale. Per questo, e non tanto per le importanti decorazioni militari che pure da valoroso soldato si guadagna, Richard Löwy è una persona degna di stima, tanto che ancora oggi i valligiani lo ricordano con affetto e gli hanno dedicato una delle vie principali di Moena.
Finita la Grande Guerra il tenente e la sua famiglia vivono le difficoltà e le incertezze dell’Austria sconfitta, per poi essere investiti dalla bufera nazista. Con l’Anschluss inizia il secondo tempo del rapporto di Richard con Moena e il Trentino, destinato ad avere una conclusione tragica. I suoi meriti militari non lo sottraggono all’epurazione nazista; il parossistico antisemitismo lo costringe a emigrare, e seguendo l’impulso interiore eccolo di nuovo a Moena, stavolta non come vertice militare e civile ma come rifugiato in cerca di appoggi. Aiuti che, nonostante le leggi razziali italiane, non mancano da parte dei locali riconoscenti: lui, sua madre, sua moglie, sua sorella e suo cognato sono protetti, apparentemente al sicuro all’ombra delle Dolomiti. Con la partecipazione dell’Italia fascista alla seconda guerra mondiale, per tutta la famiglia arriva l’arresto e la detenzione al confino nel Molise; solo la madre, anziana e malata, resta rifugiata in Trentino. La permanenza al sud potrebbe di fatto rappresentare la salvezza, dati gli sviluppi del conflitto in Italia. Ma la volontà di non lasciare sola sua madre porta Löwy a chiedere la possibilità di tornare nella “sua Moena”; così nel febbraio 1941 i coniugi Löwy e i coniugi Riesenfeld (sorella e cognato) rientrano in Trentino. È l’andamento della guerra a produrre poi l’inevitabile esito della vicenda. La caduta del fascismo, l’armistizio dell’8 settembre 1943, l’occupazione nazista e la caccia agli ebrei, un contingente tedesco acquartierato all’Albergo Catinaccio di Moena. Pur nascosti nella defilata e inerpicata frazione di Someda, Richard e i suoi vengono arrestati il 4 gennaio 1944, detenuti nel carcere di Trento e deportati ad Auschwitz col convoglio n. 8 del 22 febbraio 1944 (lo stesso che trasportava Primo Levi), giunto a destinazione il 26 febbraio. Come tutti i prigionieri anziani, sono subito avviati alla camera a gas.
David Sorani