Linee d’incontro

momiglianoLa Torà ci riporta tre episodi che illustrano – prima ancora che gli si manifesti la parola del Signore nel roveto ardente – uno degli aspetti fondamentali del carattere di Mosè: l’anelito di giustizia e l’impegno ad intervenire in difesa del più debole (Esodo 2,11-17); nel primo caso Mosè interviene colpendo a morte l’egiziano che stava infierendo su un ebreo, nel secondo rimprovera un ebreo che sta per colpire un fratello del suo popolo, nel terzo si erge a difesa delle pastorelle, figlie del sacerdote midianita Yitro, che, avendo portato il gregge ad abbeverarsi al pozzo, venivano aggredite da un gruppo di violenti pastori. Le diverse circostanze in cui si verificano i tre episodi dimostrano come questa attenzione di Mosè per la giustizia si applicasse nel modo più ampio, tanto quando il fatto coinvolgeva i fratelli del suo popolo, quanto nell’occasione in cui si trattava di difendere persone del tutto estranee e sconosciute, come le pastorelle midianite.
Malgrado questi tratti così significativi del carattere di Mosè, che i tre episodi, nel loro complesso mettono in luce, non è sfuggito agli occhi indagatori dei nostri Maestri, un aspetto potenzialmente problematico che si presenta nel primo gesto, quando Mosè colpisce a morte l’egiziano; a proposito di questo gesto, ci si può infatti chiedere se fosse giustificato dalla necessità di intervenire in maniera risolutiva per salvare la vita dell’ebreo – così infatti lo spiega il midrash in Shemot Rabbà ( 81,28) “L’egiziano lo colpiva per ucciderlo” – o se invece non fosse un’azione dettata dall’ira vendicatrice, quindi non corrispondente ai criteri di giustizia della Torà. Fra le interpretazioni che cercano comunque di spiegare le circostanze in cui si colloca l’azione di Mosè, si può ricordare la spiegazione di Rav Naftali Zevì Yeudà Berlin ( nel commento Ha’amek Davar) secondo il quale le parole del testo della Torà “ (Mosè) vide un egiziano che colpiva un ebreo tra i suoi fratelli, vide che non c’era nessuno…” ci riportano il fatto che l’egiziano infieriva sulla vittima “senza alcun motivo, solo perché era ebreo e non c’era alcuno presso il quale manifestare contro questa ingiustizia, poiché tutti gli egiziani erano egualmente oppressori nei confronti dei figli d’Israele.” Troviamo però un midrash che ci presenta l’azione di Mosè in una diversa prospettiva. In un passo del midrash “Petirat Moshè”, che ci rappresenta un dialogo tra il Profeta e il Signore, quando l’Eterno annuncia alla guida d’Israele la prossima fine della sua vita terrena, vediamo come Mosè cerchi di sottrarsi alla sentenza rivendicando l’integrità della sua condotta di vita; al termine di un dialogo serrato, il Signore si rivolge a Mosè con questo rimprovero: “Ti avevo forse detto di uccidere l’egiziano?” Mosè tenta di replicare affermando “Tu, o Signore, hai fatto morire tutti i primogeniti egiziani!” a cui giunge la risposta dell’Eterno che non lascia più spazio di replica a Mosè: “ Forse che tu sei simile a Me, che do la vita e la morte?” Questo midrash propone l’idea che anche in quelle circostanze, l’uccisione di un essere umano al di fuori di ogni contesto di tribunale e di giudizio,era una colpa di cui il Signore, in ultima analisi, chiedeva conto a Mosè. Forse possiamo leggere questo midrash anche in questo senso: il percorso di liberazione del popolo d’Israele doveva accompagnarsi ad una risoluta affermazione del valore della giustizia e non poteva lasciar spazio, neppure minimo, ad un’azione umana – ben diversa dai criteri di giustizia di D.O – che palesasse, anche solo indirettamente sentimenti di vendetta e di giustizia sommaria. Mi sembra che questo midrash esprima in un discorso di valori di fede, il pensiero rievocato dalla Senatrice Liliana Segre, di come avesse sentito di aver riacquistato vera libertà, alla fine dell’orrore del lager, nel momento in cui rinunciò alla possibilità di fare giustizia sommaria di un aguzzino nazista. Nei valori più alti è forse possibile riscontrare linee d’incontro tra una straordinaria testimonianza laica di vita e di umanità, quale quella di Liliana Segre e l’insegnamento dei nostri Maestri.

Rav Giuseppe Momigliano, rabbino capo di Genova

(22 gennaio 2020)