Ticketless – La terra di Fossoli
Lo scorso fine settimana ho rivisitato in successione tre luoghi della memoria ebraica del 900: la torre della Ghirlandina a Modena, Fossoli, Nonantola-Villa Emma. Tali sono diventati nel linguaggio corrente, ma a me il termine “luogo della memoria” dice poco o nulla. Dispiace per Pierre Nora, che l’ha coniato e reso famoso anche in Italia, ma a me è sempre sembrato flatus voci. Mi scuso se insisto sul più pertinente concetto di “paesaggio contaminato”. Vi sono luoghi in Italia che bisogna contribuire a decontaminare, come i campi dove mani criminali nascondono rifiuti tossici. Alcuni di questi luoghi, per esempio Villa Emma, hanno iniziato a decontaminarsi da loro, mentre intorno andava in scena una tragedia. Quanto tempo richiede la decontaminazione per gli altri luoghi? Molti anni, secondo me, non bastano gli anni necessari per la costruzione di memoriali, musei o la posa di una lapide. Passando giorni fa sotto la torre della Ghirlandina mi è venuto spontaneo chiedermi se avrò mai la forza di salire in cima per godere di quel meraviglioso panorama. Non credo. Proverò a fare questa domanda ai miei figli. I luoghi contaminati dalla seconda guerra mondiale, per quanto alta sia la nostra volontà di ricordare, respingono, non attraggono il visitatore consapevole. Sbagliato spingere i giovani a visitare quei luoghi senza avvisarli con un cartello che li avvisi: Paesaggio contaminato. Mi capita di provare lo stesso sentimento quando mi aggiro per il ghetto a Roma, non parliamo della Risiera a Trieste o delle baracche di Fossoli, che ad aprile saranno valorizzate da un importante nuovo allestimento. In un frammento del suo diario Leopoldo Gasparotto, internato politico ucciso a Fossoli, ha lasciato una descrizione del campo molto toccante che dà bene il senso e la misura del cammino che ci aspetta se vogliamo davvero portare a termine un processo di bonifica che consenta il ritorno alla libertà piena: “La terra di Fossoli è cretacea, compatta e dura, si frange in blocchi; se si compie uno scavo, le pareti si rompono in screpolature frastagliate. Sono sceso nelle trincee, perché le pareti in parte crollate, ho immaginato di aver di fronte delle pareti dolomitiche e, mentalmente, ho studiato su di esse immaginarie vie di ascensione, per camini profondi, per spigoli verticali, creste aeree. Così il mio pensiero alla fine, ingannando l’occhio, mi ha fatto passare una mezzoretta avanti la parete del Sella, ed ho sognato di sbucare dalla parete ombrosa al sole della cima. Qui soltanto una volta ho visto in lontananza il profilo delle colline appenniniche. Dove sono le mie montagne?”.
Alberto Cavaglion
(22 gennaio 2020)