Divisioni
Una delle strategie più efficaci della propaganda antisemita mira a dividere gli ebrei fra loro, a creare conflitti all’interno della compagine ebraica. Il borgomastro di Vienna Karl Lueger all’inizio del ’900 fu eletto con i voti di un partito dichiaratamente antisemita, ma per suo comodo usava dire: “Chi è ebreo lo decido io”. Con l’avvio della propaganda antiebraica in Italia negli anni ’30 il regime riuscì ad innescare contrasti particolarmente accesi nella comunità ebraica che con ogni evidenza erano parte di una strategia complessiva che mirava alla sua definitiva disgregazione. Si agevolò la spaccatura all’interno dell’Unione delle comunità israelitiche e si registrarono atti di violenza. Il più tristemente noto è la devastazione della redazione del settimanale sionista “Israel” ad opera di squadristi fascisti ebrei. A leggere in prospettiva storica le dinamiche politiche di oggi non sembra che le cose siano cambiate. Il fenomeno dell’antisemitismo è ancora diffuso e sembra rafforzarsi, e sulla valutazione delle sue dinamiche si accendono scontri ideologici proprio all’interno del mondo ebraico, che tende a dividersi in fazioni l’una contro l’altra armata. C’è chi sostiene che l’antisionismo oggi sia sostanzialmente l’unica espressione realmente minacciosa di antisemitismo. Altri puntano il dito all’antisemitismo islamista, estendendolo per generalizzazione all’intero mondo islamico che godrebbe delle simpatie – sempre generalizzando – della “sinistra” occidentale. D’altro canto c’è chi riconosce le forme di odio antiebraico solo nelle formazioni neofasciste e neonaziste, e in quel suprematismo bianco generatore di odio razzista figlio delle ideologie totalitarie del XX secolo. Il risultato di questo acceso dibattito è duplice. Da un lato la dispersione di energie: molti ebrei sembrano impegnati assai più a polemizzare fra loro che non a combattere l’antisemitismo in tutte le sue forme. E d’altra parte pare evidente la difficoltà da parte di molti membri della comunità ebraica di comprendere nel profondo la complessità del fenomeno antisemita che non è ascrivibile solo a singole formazioni o fazioni politiche. L’antisemitismo è un insieme di linguaggi, di strategie, di azioni violente e di propaganda che vede la sua modernità proprio nella capacità di connettere mondi e tradizioni politiche differenti e spesso contrapposte fra loro. Quasi sempre nella storia contemporanea il mondo ebraico non è riuscito a valutare la pericolosità di questo fenomeno per tempo e a contrapporgli strategie efficaci.
Accadeva a fine Ottocento, quando il direttore del “Vessillo Israelitico” Flaminio Servi opponendosi al grido di allarme proposto dai primi sionisti liquidava l’antisemitismo come fenomeno residuale: “Degli atti d’intolleranza dobbiamo tacere o appena accennare. É ormai passato il tempo dei fanatici e degli energumeni. Se v’ha qualche eccezione, non deve spaventarci, non può durare a lungo, non durerà“.
Accade ancora oggi, ogni giorno, sulle pagine dei principali social-media. Dividersi di fronte all’antisemitismo, non valutarlo nella sua complessità per contrapporgli strategie efficaci, fa esattamente il gioco delle tante, troppe agenzie politiche che strumentalizzano e usano il linguaggio dell’odio.
Gadi Luzzatto Voghera, direttore Fondazione CDEC