“Olocausto” 40 anni dopo

anna segreHo trovato estremamente interessante la lezione di Andrea Minuz, docente di Storia del cinema presso l’Università di Roma La Sapienza, tenuta il 20 gennaio a Torino dal titolo “Holocaust 40 anni dopo: la ricezione internazionale dello sceneggiato.” La miniserie televisiva, che l’anno precedente aveva ottenuto un clamoroso successo di pubblico negli Stati Uniti e in Germania, fu trasmessa dalla televisione italiana nel maggio-giugno del 1979. Da dodicenne ricordo che allora l’avevo guardata con grande diffidenza e storcendo il naso per le imprecisioni storiche (che in effetti non mancavano: mi avevano colpito in particolare i letti delle baracche del lager con il comodino o qualcosa del genere). Devo dire, però, che la conferenza ha in parte ribaltato il mio punto di vista di allora. Minuz non ha negato che si trattasse di un’opera ricca di imprecisioni e dalla scarso valore artistico, ma ha messo in evidenza l’impatto straordinario che ebbe sul pubblico soprattutto americano e tedesco e sul dibattito successivo, generando una più diffusa consapevolezza di ciò che era stata la Shoah. I film dialogano tra di loro – ha spiegato in conclusione – e senza Holocaust probabilmente non ci sarebbe stato Schindler’s List, che per molti aspetti è programmaticamente opposto ed è stato costruito tenendo conto delle critiche che erano state rivolte allo sceneggiato televisivo.
Interessante e sconcertante è stata l’analisi condotta da Minuz sulla ricezione dello sceneggiato in Italia: qui da noi, a differenza di quanto era avvenuto negli Usa e in altri paesi d’Europa, Olocausto non valse a generare maggiore consapevolezza sulla Shoah (che continuò a non essere percepita come un evento che riguardasse l’Italia più di tanto), ma divenne spesso un pretesto per parlar d’altro: guardato dall’alto in basso in quanto prodotto americano destinato a un grande pubblico, il film fu criticato da destra e da sinistra (il Manifesto, per esempio, parlò di operazione propagandistica filoisraeliana). Volendo vedere il bicchiere mezzo pieno potremmo forse tirare un sospiro di sollievo pensando alla strada che è stata percorsa in questi quattro decenni nel nostro paese, a partire appunto da Schindler’s List e poi con l’istituzione del Giorno della Memoria.
Anche in quel contesto come in molti altri casi una delle voci più lucide tra coloro che commentarono lo sceneggiato fu quella di Primo Levi, in un articolo pubblicato sulla Stampa il 20 maggio 1979: “… in tutti i paesi, il filmato è stato visto da milioni di persone; non benché fosse una story, una vicenda romanzata, ma perché è una story. Sul tema del genocidio hitleriano sono stati pubblicati centinaia di libri e proiettati centinaia di documentari, ma nessuno di essi ha raggiunto un numero di fruitori pari all’uno per cento del numero degli spettatori televisivi di Olocausto. I due fattori associati, la forma romanzesca ed il veicolo televisivo, hanno mostrato appieno il loro gigantesco potere di penetrazione.” È vero che poi nella conclusione dell’articolo Levi ammette che “non si riesce a reprimere un brivido di allarme di fronte all’ipotesi di quanto potrebbe accadere se il tema scelto fosse diverso od opposto”, ma comunque, per quanto riguarda il caso specifico di Olocausto e del romanzo da cui è tratto, Levi ne riconosce l’utilità. Anche in un precedente articolo (pubblicato su Tuttolibri il 28 aprile 1979) a proposito del romanzo scrive: “Questo libro, insieme col filmato a cui prelude, si propone di adempiere al compito: potrà servire, com’è avvenuto in Germania, a risvegliare la curiosità di chi non sa ed ha buona coscienza, e forse anche (ma è meno probabile) a persuadere chi buona coscienza non ha. È, insomma, un alleato; ne avremmo preferito uno meno loquace, di maggiore sensibilità storica, meglio commisurato allo scopo: ma, anche così com’è, rimane pur sempre un alleato.“Anche a quarant’anni di distanza vale forse la pena di riflettere su queste parole di Primo Levi prima di giudicare con troppa severità film, sceneggiati, spettacoli, testi, ecc. presentati in occasione del Giorno della Memoria, se non altro quando sono stati prodotti in buona fede.

Anna Segre