Profezia e scienza
Se il Faraone avesse ascoltato Moshe lasciando partire il popolo ebraico avrebbe sicuramente salvato sé stesso e il popolo egiziano dalla catastrofe. Forse anche Moshe era considerato dal faraone una sorta di “profeta di sventure”. Proprio come sono stati definiti a Davos da Donald Trump i numerosi scienziati che ci avvertono da anni a proposito dei rischi a cui andremo incontro se non adottiamo delle serie misure per contrastare i cambiamenti climatici. Il Faraone probabilmente era in parte consapevole del pericolo che incombeva sull’Egitto, ma la sua ostinatezza – il suo “indurimento di cuore” – lo portava a negare quei segni così evidenti che aveva di fronte agli occhi, fingendo che tutto andasse per il meglio. Ascoltare Moshe avrebbe significato pregiudicare il proprio potere, l’autorità e “l’aurea divina” che egli disponeva per assoggettare i propri sudditi. Questa non poteva certo essere invalidata da un figlio di schiavi ebrei “con difficoltà nel parlare”. Gli scienziati contemporanei non sono naturalmente i nuovi profeti e non sono comparabili con Moshe Rabbenu, dietro la profezia c’è la saggezza di D.o, alla base della scienza ci sono invece le ipotesi, i dati e le previsioni. La profezia biblica come tale, a quanto pare, non è più presente nel mondo attuale, anche se si legge nel Talmud “dal giorno in cui il tempio fu distrutto, la profezia venne tolta ai profeti e data ai pazzi e ai bambini” (Bava Batra 12b). Il problema rimane la difficoltà nel riconoscerli, di bambini e di pazzi ve ne sono troppi in giro e, talvolta, hanno tra di loro idee completamente divergenti.
Francesco Moises Bassano