Mengele e gli esperimenti medici
dei criminali nazisti

Nell’ambito del Processo di Norimberga che una corte militare statunitense intentò contro i gerarchi nazisti dopo la Seconda guerra mondiale si tennero anche dodici processi secondari, fra cui il processo ai medici nazisti. Durò dal 9 dicembre 1946 al 20 agosto 1947. Dei 23 imputati, fra medici e amministratori sanitari, sette furono condannati a morte. Joseph Mengele non era fra gli imputati, perché come è noto era riuscito a sfuggire alla cattura. Ma si può essere ben certi di quale sarebbe stato l’esito se fosse stato presente. Il giudizio storico sulle sue nefandezze e atrocità criminali è già stato dato ed è irreversibile. Non è neanche ipotizzabile che esso possa essere messo in discussione. Ciò che emerse da quel processo e dagli studi storici successivi è che non si trattava di un manipolo di folli medici che facevano pseudoscienza: nella sperimentazione su cavie umane furono coinvolti anche istituti accademici, a diversi livelli, oltre che alle industrie chimiche e farmaceutiche, alle entità statuali, politiche e militari della Germania e non solo. C’è chi ha scritto che quella era scienza legittima, se pur moralmente aberrante. No, non era legittima. Scienza (forse) sì, ma legittima no. Non tutto è lecito nella ricerca scientifica. Nessuna rivista scientifica accetterebbe di pubblicare articoli che coinvolgano sperimentazioni su esseri umani (e anche animali) senza che sia assicurato il rispetto della normativa etica vigente. È pur vero che 80 anni fa gli standard etici erano molto più rilassati rispetto a oggi. Basti pensare che il cosiddetto Codice di Norimberga, una sorta di decalogo etico che include il principio ormai universalmente noto del “consenso informato”, ebbe origine proprio a conclusione dei processi ai medici nazisti. Ma le atrocità commesse a quell’epoca erano al di là di ogni valore etico, pure confrontato con l’etica medica di allora.
Fino all’ultimo momento i medici nazisti sfruttarono la possibilità di usare i prigionieri per la sperimentazione, che nella maggior parte dei casi si concluse con la loro morte o con l’assassinio deliberato. Negli intenti dei medici criminali i risultati della sperimentazione sarebbero potuti essere pubblicati e servire per promuovere le loro carriere accademiche. Von Verschuer, di cui il giovane Mengele era stato l’assistente, era fra i massimi genetisti tedeschi dell’epoca ed esperto mondiale di genetica umana. Accettava l’ideologia nazista e ne diffondeva la teoria della razza. È difficile pensare che non avesse idea degli esperimenti condotti da Mengele ad Auschwitz, in particolare quelli sui gemelli, visto che fra i due ci furono contatti anche durante il periodo in cui gli omicidi di massa nel campo di sterminio raggiunsero la loro massima entità.
Se il giudizio storico sui medici criminali è inappellabile e fa parte del passato, rimangono tuttavia alcuni aspetti che coinvolgono il presente. È lecito, oggi, usufruire dei risultati di quelle ricerche? Ed è moralmente giusto continuare a definire malattie e sindromi con i nomi dei medici nazisti che condussero esperimenti sui deportati nei lager? In un convegno organizzato alcuni anni fa dalla Comunità ebraica di Roma e l’Università La Sapienza, con la partecipazione di illustri relatori, si propose di cancellare questi “eponimi”, come quello del test di Clauberg per misurare l’azione del progesterone: Clauberg era un ginecologo che effettuò esperimenti sulle deportate nei lager di Auschwitz e di Ravensbrück causando la morte di centinaia di donne. Ce ne sono moltissimi di eponimi del genere. Ma se è relativamente facile cambiare i nomi alle strade, come è stato fatto recentemente in alcune vie di Roma, dove i nomi dei firmatari del Manifesto della Razza sono stati sostituiti con i nomi di vittime delle leggi razziste o di coloro che vi si opposero, è invece molto più difficile riscrivere i manuali di testo e la letteratura scientifica di 75 anni. Nonostante ciò, sarebbe auspicabile eliminare, almeno da adesso in poi, tutti gli eponimi nazisti.
Quello che pure non è ammissibile è usare tessuti, cellule e altri resti delle vittime dei nazisti per la ricerca scientifica condotta dopo la fine della guerra. Agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso scoppiò uno scandalo in Austria e in Germania perché si scoprì che in certi laboratori di ricerca si continuavano a usare campioni biologici derivanti dalle azioni criminali dei medici nazisti. In conseguenza di ciò, fu deciso di distruggere quei campioni o di dare loro degna sepoltura.
Più complessa è la questione dell’uso dei risultati scientifici degli esperimenti nazisti, ammesso che fossero di qualche valore. Se questi risultati, pur derivando dai crimini commessi dai nazisti, sono utili alle conoscenze mediche, possono essere citati nella letteratura medica? Il dilemma etico è chiaro e non è facilmente risolvibile. Se non se ne tiene conto, può esserci un danno alla scienza medica. Per questo motivo, in certi casi eccezionali, alcuni considerano eticamente ammesso, per il bene superiore della salute generale, citare quei risultati, rimarcando però che essi derivarono da crimini atroci. Altri, invece, fra cui Rabbi Lord Immanuel Jakobovits z.l. (1921-1999), rabbino capo del Regno Unito e del Commonwealth e fondatore dell’etica medica ebraica dei tempi moderni, affermano che se li si cita, ciò verrebbe visto come un’ulteriore offesa alle vittime e una sorta di premio ai criminali (è noto come la massima aspirazione per un ricercatore è essere citato il più possibile e vedere il proprio nome associato a una qualche scoperta scientifica). C’è un ulteriore timore ed è quello che in bioetica si chiama il “piano inclinato”: se si permette qualcosa di gravità inferiore, a poco a poco si scivola permettendo azioni sempre più immorali, di gravità crescente, fino ad arrivare alle atrocità che tutti conosciamo. La Germania nazista iniziò con la sterilizzazione di coloro che erano considerati disabili fisici o mentali, poi si passò alla loro cosiddetta “eutanasia”, poi alla sperimentazione sui loro corpi e via via fino alla “soluzione finale” e agli stermini di massa, nell’indifferenza della società generale che ormai era stata preparata ad accettare tutto ciò.
Che le anime (perché i corpi, nella maggior parte dei casi, finirono in cenere) di tutte le vittime dei crimini nazisti possano riposare in pace e che la loro sofferenza non venga mai dimenticata o, peggio, negata.

Gianfranco Di Segni, CNR e Collegio rabbinico italiano

Per saperne di più:
Francesco Cassata, Eugenetica senza tabù. Usi e abusi di un concetto, Einaudi 2015.
Baruch Cohen, The ethics of using medical data from Nazi experiments. Journal of halacha and contemporary society, 19:103-126 (1990) [http://www.jlaw.com/Articles/NaziMedEx.html].
Immanuel Jakobovitz, Some Modern Response on Medical-Moral Problems, Jewish Medical Ethics, Volume No. 1, May, 1988.
Giulio Meotti, Non solo mostri, Il Foglio 19.1.2013.
Giacomo Galeazzi, Quei nomi nazisti rimasti attaccati alle nostre malattie. Campagna mondiale per sostituirli: hanno il marchio dei crimini di guerra, La Stampa 8.6.15.

(5 febbraio 2020)