Da dove nasce l’antisemitismo
L’aumento degli episodi di antisemitismo – in Italia e ancor più in altri Paesi – ha indotto vari istituti di ricerca a tentare di dare al fenomeno una dimensione quantitativa, a scomporlo nelle sue componenti, a cercare di definirlo meglio nelle sue molteplici manifestazioni. L’ultima delle ricerche in questo campo è stata quella dell’Eurispes, i cui risultati sono stati resi noti pochi giorni fa, e hanno provocato, giustamente, allarme e sconforto. Immediatamente si sono levate molte voci per proporre misure di contrasto all’ondata di antisemitismo. Ma è evidente che non si possono trovare misure adeguate se prima non si individuano le cause che spingono un numero rilevante di persone a dare risposte sconcertanti alle domande poste dall’istituto di ricerca.
Tra le varie domande poste dai ricercatori, c’è quella relativa alla Shoah. Il 15,6% degli intervistati ha risposto di non credere alla realtà dello sterminio degli ebrei. Non credere alla realtà della Shoah – dopo che per decenni essa è stata documentata in mille modi, anche a livello di massa, con filmati, racconti delle vittime e dei testimoni, ammissioni degli stessi persecutori, dopo che il negazionismo è stato sconfitto sul piano culturale e giudiziario – significa che entrano in gioco meccanismi diversi da quelli basati sul solo approccio conoscitivo-razionale alla realtà, e che occorre porsi delle domande sulle cause di questo fenomeno diverse da quelle consuete che, di solito, insistono sulla mancanza di conoscenze adeguate, soprattutto a livello di formazione scolastica.
Rifiutarsi di credere alla realtà della Shoah è la forma estrema di antisemitismo: significa anteporre alla necessità della conoscenza una serie di stereotipi che impediscono di avvicinarsi alla realtà e che – per chi sostiene di non credere alla Shoah – hanno un valore maggiore della stessa realtà storica.
La scomposizione delle risposte in base all’appartenenza politica può aiutare a capire qualcosa delle caratteristiche e della forza di questi stereotipi. Molti di questi appartengono a culture ben definite e si tramandano da generazioni, anche se con forza maggiore o minore a seconda delle circostanze storiche. Altri sono relativamente nuovi e invitano a cercare di capire meglio il fenomeno. Colpisce, in particolare, che una percentuale notevole di questi che potremo chiamare “neonegazionisti” dichiara un’appartenenza politica di centro-sinistra. Questo aspetto sconcerta molto di più delle risposte di chi dichiara la sua appartenenza al campo della destra.
In Italia esiste una tradizione antisemita di lunga data che affonda le sue radici nell’antigiudaismo cattolico e che emerge con maggiore o minore forza a seconda delle circostanze storiche. Il fatto che le leggi razziali del 1938 non avessero dato luogo ad alcuna forma di reazione apprezzabile, né a livello popolare né a livello di ceti più colti, dovrebbe farci riflettere sulla permanenza di questa tradizione. Naturalmente le vicende della II guerra mondiale e la diffusione della conoscenza della Shoah hanno modificato questa tradizione ma non l’hanno fatta scomparire ed essa è pronta a riemergere ogni volta che le circostanze lo consentano.
Nel nostro tempo la radicalizzazione della lotta politica, l’emergere non sufficientemente contrastato di posizioni estremistiche, il venir meno di una precisa linea di separazione tra una destra conservatrice ma comunque di matrice cattolico-liberale e una destra fortemente radicalizzata o addirittura esplicitamente antidemocratica spiegano come in una parte di coloro che dichiarano la propria appartenenza al versante destro dello schieramento politico sia caduto ogni tabù relativo ai pregiudizi verso gli ebrei, recuperando, come abbiamo detto, una tradizione che, sebbene sottotraccia, non era mai venuta meno.
Meno comprensibile, a prima vista, la percentuale di antisemitismo che si ritrova tra chi dichiara sua appartenenza al centro-sinistra. E’ vero che, come ha documentato di recente Alessandra Tarquini nel suo La sinistra italiana e gli ebrei, fin dal suo sorgere il movimento socialista ha mostrato una sostanziale incomprensione verso la specificità ebraica e in particolare è stato ostile al sionismo. Ma nel secondo dopoguerra la sinistra, in tutte le sue articolazioni, aveva denunciato lo sterminio degli ebrei come frutto di una cultura di destra che aveva prodotto il nazismo e il fascismo.
È vero che, a partire dagli anni ’50, una parte della sinistra, quella comunista, aveva assunto un atteggiamento ostile verso lo Stato d’Israele ma, almeno fino a tempi recenti, aveva sempre cercato di tener distinto questo giudizio da quello più generale sugli ebrei. Evidentemente però l’antisionismo, diffuso tra i militanti comunisti come tra vasti ambienti intellettuali e accademici, alla lunga ha dato i suoi frutti avvelenati portando ai risultati messi in evidenza dalla ricerca Eurispes.
Si può anche ipotizzare che il mutamento di percezione dell’ebraismo sia di data relativamente recente e sia frutto di campagne diffamatorie e complottistiche di varia natura che, alla lunga, hanno fatto breccia anche a sinistra. Certamente hanno avuto le loro conseguenze in questa deriva a sinistra anche le forsennate compagne contro Israele denunciate di recente anche dalla Presidente dell’UCEI Noemi Di Segni.
Si è soliti indicare i social media come responsabili di un uso del linguaggio estremistico e incontrollato; ma se si guarda a chi ha condotto in maniera continuativa le campagne contro Israele troviamo una serie di quotidiani come Il Manifesto, Il Fatto quotidiano, Avvenire, Repubblica. Naturalmente ognuno di questi giornali usa un suo proprio linguaggio, da quello felpato del quotidiano dei vescovi a quello ideologico del “quotidiano comunista”, da quello “colto” dei collaboratori del giornale fondato da Eugenio Scalfari a quello sguaiato del quotidiano di Travaglio. Ma tutti, in forme diverse, conducono da anni, se non da decenni, una martellante campagna contro Israele, accusandolo di ogni genere di misfatti. Era difficile che, alla lunga, questa campagna non lasciasse tracce.
Valentino Baldacci