Contrastare l’assimilazione

Grazie all’occasione offertami nel corso degli ultimi Stati Generali di tenere un workshop insieme a Ruth Dureghello sul tema dei Progetti educativi per i giovani nell’Italia ebraica, ho sviluppato alcune riflessioni che vorrei condividere. Il fenomeno della scarsa partecipazione, in particolare dei giovani alla vita comunitaria ed alle attività organizzate dalle Comunità, dai movimenti giovanili e dall’UCEI, evidenzia la situazione molto difficile e preoccupante dell’ebraismo. Nonostante il grosso sforzo profuso la risposta è stata sempre la stessa: indifferenza. In particolare, per i giovani sono state create diverse occasioni di incontro (religiose, ludiche, informali, accademiche e lavorative), ma purtroppo non attirano nessuno in più dei soliti pochi noti, ma anzi registriamo un calo delle presenze, e questo ci pone diversi interrogativi sia in termini di scelte, modalità, ma in generale sulla continuità dello sforzo. Ideare, programmare, organizzare le attività in modo volontario costa tempo, fatica, talvolta soldi, ma soprattutto voglia ed energia. Ecco, queste ultime due sono una materia misteriosa che cresce di pari passo con la soddisfazione e purtroppo devo dire che soprattutto in questi ultimi anni ne è arrivata veramente poca e quindi ci ritroviamo con poca energia e voglia per guardare con fiducia ai programmi per i prossimi anni. Stiamo constatando con mano come il pericolo che minaccia sempre più il futuro delle Comunità sia il rischio dell’assimilazione. Mentre siamo tutti tesi a contrastare ogni fenomeno di antisemitismo, non siamo altrettanto dedicati a contrastare questo fenomeno silenzioso. La Comunità per mantenersi ‘in vita’ ha oggi la missione paradossale di inseguire i desideri dei propri iscritti – in particolare i giovani – per elaborare una proposta culturale e religiosa che li tenga legati ad essa, pena la sua scomparsa. Ma il risultato è che attiriamo molta gente dalla società civile e sempre meno iscritti.
Tranne rari casi isolati viviamo in una sorta di ‘isola’ separata dal contesto dell’ebraismo italiano, i ragazzi non trascorrono le proprie vacanze con i coetanei delle altre comunità, non c’è una spinta verso i temi ebraici nazionali, né verso le altre istituzioni, né tantomeno verso Israele. Ma è un problema della Comunità o più in generale dell’ebraismo italiano? Ahimè credo che il problema sia comune a tutte le comunità italiane. A livello nazionale tutte le comunità rispondono con sempre più difficoltà alla tendenza assimilazionistica, rischiandola morte per asfissia. Se ci guardiamo intorno, il panorama è alquanto desolante. A fronte di tanti sforzi compiuti dalle generazioni passate, oggi, poche famiglie stanno vivendo una continuità ebraica. Siamo dei nani sulle spalle dei giganti che ci hanno preceduto in anni non certo facili, ma noi oggi, in quanti siamo pronti a trasformarci a nostra volta in dei giganti? Paradossalmente si sta avverando il ribaltamento di un principio basilare dell’ebraismo: qui non è ebreo chi ha una madre ebrea, ma è ebreo chi ha una discendenza ebraica…e purtroppo la prospettiva è quella di una brusca contrazione numerica nel volgere di pochi anni. La struttura stessa della Comunità, in particolare per le piccole comunità, non è adeguata a far fronte alle spinte centrifughe che sempre più la colpiscono e quindi, è necessario un ripensamento sul ruolo e sulle modalità operative delle Comunità. Si sta realizzando ora, sul piano nazionale, come da anni non si è stati in grado di elaborare una strategia che, non solo rispondesse alle sirene dell’assimilazione, ma che proponesse un modello ed uno stile di vita originale. Anzi, il modello di ebraismo laico, che ci viene invidiato dalla società civile per il sanguigno attaccamento alle tradizioni e che rappresenta una posizione di equilibrio all’interno dell’ebraismo ortodosso tra le posizioni, a mio avviso estreme dell’ebraismo ultra ortodosso e quelle laiciste generate dai movimenti ebraici negli anni ‘70, sta fallendo, non essendo riuscito a garantire la continuità.
Purtroppo sono cambiate le regole del gioco. In particolare modo, bisogna tenere conto del fatto che i giovani sono la categoria più a rischio di assimilazione, spariscono da un giorno all’altro e diventa praticamente impossibile recuperarli. Subiamo una “concorrenza” terribile in termini di qualità e quantità delle proposte e non riusciamo a contrastarle con la buona volontà di una serie di volontari, neanche tanto organizzati e determinati senza un supporto professionale specializzato. Noi possiamo provare ad alzare il livello culturale delle nostre proposte, nonché il numero delle occasioni, ma non sono sicuro che questa sia la soluzione giusta. Non voglio qui dire che l’ebraismo sia un ‘moto dell’anima’, ma di certo la spinta emozionale che ci fa sentire un po’ diversi, forse anche un po’ speciali rispetto alla società che ci circonda, soprattutto in realtà piccole manca, soprattutto nelle nuove generazioni. Abbiamo un problema di comunicazione che deve per forza di cose essere risolto all’interno delle nostre famiglie e non può essere demandato alla Comunità: le madri ebree non sanno più parlare ai propri figli? Ce lo possiamo dire chiaramente almeno per una volta? Che senso hanno i ghiurim se poi i figli non frequentano una vita ebraica? Dal lato della Comunità possiamo cercare di attirare le persone, ma penso che dal lato della famiglia ci voglia chi spinge. O comunque è quanto mai necessario Attivare un’azione concorde di dialogo, elaborazione delle proposte e attivazione delle leve motivazionali. Riattivare il rapporto con loro, risvegliare in loro una domanda di ebraismo deve diventare la nostra missione; come Comunità dobbiamo far trovare un ambiente favorevole alle diverse manifestazioni dell’ebraismo come identità individuale, che non può essere solo quello religioso, ma molto altro. Dobbiamo prestare la massima attenzione alle amicizie che si creano, spingere con tutta l’energia per la frequentazione dei gruppi ebraici nazionali, ai campeggi ed ai numerosi convegni, capire l’importanza di un matrimonio ebraico, o comunque creare dei chiari percorsi di avvicinamento all’ebraismo per i figli non ebrei. Dobbiamo dare i mezzi e gli strumenti per affrontare la società civile che inevitabilmente (a meno di nascondere la nostra identità) ci aggredisce con domande sempre più impegnative, sul fronte della cultura, della storia passate e recente, della politica, dei rapporti con Israele che non è solo un argomento di dibattito politico, ma una fetta del nostro cuore, con tutto ciò che ne consegue. Bisogna necessariamente invertire la tendenza e ricominciare, scientificamente, a parlare con i giovani più lontani, sia come Consigli che come Uffici Rabbinici, ma soprattutto con l’aiuto di professionisti deputati a questa missione. La soluzione per contrastare queste forze centrifughe è creare aggregazione, prendendo come poli di attrazione le persone con identità forte, sia della comunità che nella famiglia stessa, che sappiano stimolare interesse, raccogliendo segnali da elaborare in una proposta convincente ed in un percorso di avvicinamento insieme alle istituzioni preposte sia locali che nazionali. Come UCEI, come Comunità, manca un coordinamento su questo tema che veda coinvolti gli assessori, le scuole, le rappresentanze dei giovani, che con il supporto di specialisti, definiscano una modalità di azione coerente, mettendo in rete le iniziative e permetta alle famiglie ed ai giovani una modalità di partecipazione molto più coinvolgente. Oggi chi vive nelle grandi città come Roma e Milano investe cifre importanti per garantire uno sviluppo della vita ebraica ai propri figli, chi è nelle medie e piccole realtà non ha solo il problema economico, ma una difficoltà che è difficile risolvere, tantomeno se non la si affronta come il problema più importante che oggi ha l’ebraismo italiano. Dobbiamo prendere atto del fatto che siamo una famiglia grande e variegata, veniamo da storie diverse e percorsi diverse, che costituiscono la nostra ricchezza, e quindi abbiamo approcci all’ebraismo diversi che devono tutti essere rispettati anche se le esigue forze di una comunità italiana così piccola rendono lo sforzo enorme e per questo richiedono l’aiuto e la collaborazione di tutti.

David Menasci, assessore UCEI ai Rapporti con le Comunità

(20 febbraio 2020)