Qui Torino – L’omaggio ai Giusti
La Comunità ebraica di Torino celebra i suoi Giusti. Si è svolta giovedì scorso la cerimonia di consegna dei certificati di benemerenza, realizzati sulla base di un disegno dello scultore Terracini, a sua volta salvato, ai discendenti di famiglie piemontesi che durante la guerra hanno nascosto e salvato le vite di ebrei torinesi. A ritirare i certificati i discenti, figli e nipoti, dei Giusti. “Nella terribile guerra costoro furono ogni giorno in battaglia. Essi sono i Giusti per il cui merito il mondo non è andato in rovina”: è Dario Disegni, presidente della Comunità e nipote di rav Disegni, uno dei salvati, a dare lettura del testo di Haim Hefer, Giusti fra le Nazioni.
Il primo certificato spetta alla famiglia Canonica che accolse in casa a San Benedetto Belbo, un paesino sulle colline delle Langhe, i fratelli Arturo e Augusto Debenedetti. Il paese era piccolissimo, tutti sapevano della presenza dei due giovani, ma nessuno li tradì. Si racconta che il più giovane dei due fratelli si unì poi ai partigiani quando il paese fu bruciato, l’altro invece continuò ad essere nascosto e protetto dalla famiglia Canonica fino alla Liberazione.
Il secondo riconoscimento spetta alle famiglie Boero, Natta e Giacometti per aver dato asilo in momenti diversi ai membri del gruppo familiare Morello Levi, composto da 7 persone. Il 22 novembre 1942 alcuni componenti della famiglia Morello Levi decidono di lasciare Torino per allontanarsi dai bombardamenti. Una volta lasciata la città verranno ospitati prima a Cafasse nella casa in cui abitavano Valentino e Rita Boero; altri troveranno rifugio sempre a Cafasse presso la famiglia Paschero. In seguito lasciarono il paese per paura delle delazioni e scapparono tutti sopra Lanzo in una grangia nel bosco messa a disposizione dai signori Natta. A ripercorrere la vicenda è Olga Levi rappresentate della famiglia dei salvati, nata nel 1943 su un tavolo di un albergo del paese: “A Cafasse tutti sapevano che noi eravamo ebrei, anche i bambini sapevano, ma nessuno disse niente”.
Il terzo certificato è stato consegnato alla famiglia Spessa, che nascose l’allora rabbino capo, rav Dario Disegni, la moglie e il figlio. A ripercorrere la vicenda dei salvatori Candido e Maria Spessa è Giulio Disegni, vicepresidente UCEI e nipote del rav: “I miei nonni e mio papa Egidio lasciarono Torino su segnalazione di Augusto Segre. Una volta giunti ad Asti ricevettero l’indirizzo di una cascina. La famiglia Spessa li accolse e li fece sistemare in una delle due camere della loro casa offrendo solidarietà totale”. “Questa è una delle due facce dell’Italia. Destino diverso – prosegue – spettò alla sorella di mio padre: arrestata a Sondrio su delazione, venne trasferita a Fossoli e poi deportata ad Auschwitz”.
A queste vicende che rappresentano quello che una discendente ha definito “un atto di umanità dovuta”, si affianca il gesto nobile di un altro signore piemontese Uberto Aruga, che si prese in carico durante la guerra la gestione di un’azienda di proprietà della famiglia ebraica Segre Amar. Non solo la fece prosperare, ma al ritorno della famiglia, restituì senza nulla pretendere ciò che si era impegnato a gestire. A ricordare la vicenda è la nuora di Aruga che definisce l’operato del suocero un monito per il giovane nipote Aruga, una bussola morale.
Alle microstorie reali si affianca la potenza della narrazione che fonde insieme realtà e finzione: a fine cerimonia infatti è stato presentato il libro di Cinzia Leone “Ti rubo la vita” (ed. Mondadori), Premio Rapallo. Un romanzo in cui si intrecciano le vicende di tre donne a cavallo tra il 1936 e il 1990: “Nello specchio infranto del Novecento, tre donne, un’ebrea per forza, un’ebrea in fuga e un’ebrea a metà, scelgono di riparare il proprio destino con il filo di identità ibride e cangianti”. A dialogare con l’autrice è il giornalista Mario Baudino, che ha diretto le pagine culturali de La Stampa. Cinzia Leone, scrittrice e disegnatrice, fonde nel romanzo, come nella sua stessa vita professionale, immagini e parola scritta, unendo in modo figurato la sua doppia identità: madre ebrea e padre cattolico. Seicento pagine che corrono via veloci, una vicenda che prende il a Jaffa nel 1936, in cui una famiglia di mercanti ebrei viene massacrata durante un pogrom. Ma la vita del capo famiglia prosegue, perché sarà il suo socio in affari ad appropriarsi della sua identità e quindi anche della sua religione. Saranno poi le identità di Miriam, Giuditta ed Ester, tre donne, tre generazioni ad intrecciarsi. La narrazione, caratterizzata dall’alternanza di diversi stili narrativi in accordo con le diverse epoche storiche – rispettivamente liberty, barocco e contemporaneo – si interromperà poi a Tel Aviv negli anni Novanta, andando a formare una storia circolare. “La vera ladra sono io!”, “commenta Cinzia Leone. “Ogni scrittore ruba dettagli e stralci di vita costruendo così l’identità dei propri personaggi”.
Alice Fubini
(8 febbraio 2020)