Ebrei in camicia rossa, una mostra
racconta il contributo all’unità italiana
Negli scorsi giorni è stata inaugurata, nella sala polivalente del Museo civico del Risorgimento di Bologna, una mostra dedicata ad un argomento non molto frequentato dalla storiografia italiana, anche recente: quello degli ebrei in camicia rossa. Solo negli ultimi anni, infatti, gli studi sulla comunità ebraica italiana si sono mossi da una prospettiva generale di genesi e sviluppo dall’età medievale a quella contemporanea, verso un’analisi più approfondita sul ruolo da essa svolto nel passaggio “dai vecchi Stati all’Unità”, e quindi sulla partecipazione di oltre 5mila israeliti al primo conflitto mondiale in qualità di ufficiali e soldati del Regio esercito italiano. Da qui, e dall’incontro con i rinnovati studi sulla tradizione garibaldina che animò quell’Italia dapprima immaginata e per la quale si continuò ancora a lottare ben oltre l’Unità, si è partiti per proporre, ad un pubblico specialista e non, una prospettiva nuova ed originale sull’incontro di questi due percorsi, entrambi miranti ad un’emancipazione da un lato di tipo sociale, dall’altro politica e culturale. In particolare, si è cercato di delineare il tentativo degli ebrei italiani, a partire dai nuovi diritti sanciti dallo Statuto Albertino del 1848, di legittimarsi come cittadini a pieno titolo, che compirono una scelta di campo non tanto e non solo in nome della loro appartenenza religiosa, quanto per il loro patriottismo e per la loro visione politica.
L’esposizione si apre con due importanti personaggi del Quarantotto italiano: Isacco Pesaro Maurogonato, ministro delle Finanze della Repubblica di Venezia, e Giacomo Venezian, caduto in difesa della Repubblica Romana nel 1849. Difatti, biografie esemplari e narrazione storica generale si intrecciano lungo tutto l’arco dei 27 pannelli che compongono la mostra, al fine di evidenziare l’importanza delle scelte individuali e dei cammini personali nell’indirizzare la storia della comunità. Una comunità, quella ebraica, che negli anni si integrò sempre più a livello politico, economico e professionale, in un tessuto sociale che però non fu esente da frizioni e contrasti, particolarmente in quei momenti in cui un latente antisemitismo riemerse influenzando un’opinione pubblica dimentica dei meriti di molti israeliti che non venivano più visti come patrioti italiani che avevano fatto l’Italia, ma in quanto ebrei che – nell’ottica dei loro detrattori – incarnavano stereotipi che ancora oggi avvelenano il dibattito pubblico del Paese. Si riafferma invece nella mostra la partecipazione ebraica alla Spedizione dei Mille, alla Terza guerra d’Indipendenza, così come a quelle esperienze più inclini alla solidarietà internazionale, dalla guerra franco-prussiana del 1870-71 alle spedizioni in terra greca e nuovamente transalpina che caratterizzarono la fine del Lungo Ottocento, quando il figlio di Garibaldi, Ricciotti, tentò di ravvivare la tradizione di famiglia con nuove imprese politico-militari. Personaggi come Gustavo Uzielli, Enrico Guastalla ed Eugenio Ravà spiccano con le loro vite esemplari, in quanto garibaldini più volte intervenuti, a riprova dell’assoluta adesione di una certa parte della comunità israelitica italiana non solo alla tradizione in camicia rossa, che vide tanti volontari scegliere più volte la strada dell’arruolamento, ma anche ai principî di laicità del nuovo stato unitario.
Molti sono difatti coloro che appartenevano soltanto nominalmente alle varie Università italiane, come gli stessi fratelli Rosselli nel cuore del Novecento: solo personaggi peculiari come il sionista Joseph Marcou-Baruch durante la spedizione del 1897 e, più tardi, un ormai anziano Pietro Giusto Jacchia sul fronte della guerra civile spagnola, avrebbero incarnato ben precisi ideali o riscoperto antiche tradizioni sui rispettivi campi di battaglia: il primo affermando di aver combattuto nella guerra greco-turca come «patriota israelita», il secondo confessando di essere partito per la Spagna per seguire “il richiamo dell’antica Sefarad”.
La Prima guerra mondiale fu un nuovo, tragico, banco di prova di fronte al quale gli israeliti italiani – come riconosciuto dallo storico Attilio Milano – si comportarono «esattamente come gli altri» loro concittadini, ritenendo all’indomani dell’armistizio del novembre 1918 di aver ancora una volta sanzionato, consacrandola militarmente, la loro appartenenza allo Stato nazionale. La Grande guerra è naturalmente uno spartiacque anche nell’economia della mostra, nella cui seconda parte affronta le contraddizioni del garibaldinismo diviso fra la convinta adesione al regime manifestata da Ezio Garibaldi, nipote dell’Eroe dei Due Mondi, e l’esperienza antifascista non solo del fratello Sante, ma anche di svariati veterani e moltissimi nuovi aderenti all’ideale della camicia rossa, che naturalmente divenne un simbolo utilizzato da vecchie e nuove matrici politiche soprattutto per alfabetizzare le nuove generazioni al fine di strapparle dall’omologazione imposta dal regime fascista.
Le vergognose leggi razziali, volute da Mussolini e controfirmate dal re, segnarono una frattura rispetto ad una storia molto diversa, che quei provvedimenti discriminatori miravano a riscrivere: la stessa senatrice Liliana Segre, intervenuta al Parlamento europeo in occasione del recente Giorno della Memoria, ha ricordato quanto gli ebrei di allora, e non solo quelli italiani, “si erano profondamente sentiti […] cittadini, patrioti tedeschi, italiani, francesi, ungheresi, si erano battuti nelle guerre[;] quanti ebrei tedeschi piangevano, si suicidarono, perché si sentivano tedeschi, più di ogni altra cosa, e questa espulsione dalle comunità nazionali fu dolorosissima”.
Mentre la Shoah segnava drammaticamente il continente europeo, in Italia furono ancora una volta moltissimi gli ebrei che si schierarono contro l’oppressore nazifascista: personaggi che ancora una volta si richiamavano all’ideale garibaldino combattendo nelle Brigate omonime e che diedero la vita per la causa di liberazione nazionale, come Eugenio Curiel e Franco Cesana (il più giovane partigiano a morire nella Resistenza, ucciso a soli 13 anni sulle montagne dell’Appennino modenese), ci ricordano ancora oggi l’importanza delle scelte individuali coscienti e consapevoli, non solamente nell’economia della vita di una singola persona, ma in favore di quelle cause per le quali vale la pena lottare e rischiare tutto.
La mostra Ebrei in camicia rossa, promossa dall’Associazione Nazionale Veterani e Reduci Garibaldini col patrocinio del Museo civico del Risorgimento di Bologna e del Museo Ebraico di Bologna, è curata – oltre che da chi scrive – da Eva Cecchinato, Federico Goddi e Matteo Stefanori: sarà visitabile fino al 29 marzo, con il pagamento del solo biglietto d’ingresso al museo. Sono previste due visite guidate il 23 febbraio e il 29 marzo (ore 11), mentre il 19 marzo si terrà un convegno su questi temi presso il Museo ebraico di Bologna (ore 15-17).
Andrea Spicciarelli
(Nelle immagini “La battaglia di Mentana”, 1884, A. Tranzi; Enrico Guastalla (1826-1903); Pietro Giusto Jacchia (1884-1937)
(10 febbraio 2020)