Noi e la terra, cosa ci insegna Tu Bishvat

La ricorrenza di Tu BiShvat nei secoli recenti e ancor più negli ultimi decenni ha avuto un risalto crescente: inizialmente (come dice il suo nome) era soltanto un riferimento sul calendario per ottemperare alle mitzwoth “annuali”. Non si devono mangiare nei primi tre anni i frutti che gli alberi producono; tutti gli anni si deve prelevare la prima decima a favore dei Leviti; sul prodotto che rimaneva dopo il prelievo si applicava una seconda decima; nel primo, secondo, quarto e quinto anno questa decima rimaneva al produttore, ma con l’obbligo di consumarla (direttamente o nel suo equivalente valore economico) a Gerusalemme; nel terzo e sesto anno veniva invece versata ai poveri. Un sistema di tassazione da suscitare l’invidia dell’Agenzia delle Entrate, che in fatto di complessità ha pochi rivali, tuttavia non riesce a raggiungere questi livelli.
Ma come calcolare “l’anno”? Ecco che entra in gioco Tu Bishvat: ciò che era prodotto o comunque nasceva prima di questo giorno era “dell’anno”, ciò che si sviluppava dopo era dell’anno successivo. Un discorso puramente fiscale. Nel primo secolo a. E. V. le due scuole di Hillel e Shammai discutevano (come al solito) quale fosse la data esatta di fine/inizio dell’anno fiscale: Shammai sosteneva fosse il primo di Shevat, mentre Hillel riteneva fosse il 15 (Tu) di Shevat. Il motivo di questa scelta sarebbe quello della fine delle piogge autunno-vernine, cui segue la fioritura degli alberi da frutto. Perché dunque questa discrepanza, di fronte ad un elemento obiettivo? Secondo alcuni storici, perché Shammai prendeva in considerazione la fine delle piogge della piana costiera, mentre Hillel faceva riferimento alla situazione di Gerusalemme, dove le piogge si prolungano di un paio di settimane. Poi una curiosità “lessicale”: la grafia giusta del numero 15 sarebbe יה, cioè 10+5, ma per evitare un uso “profano” di questa che è usata anche come abbreviazione del Nome (impronunciabile) del Signore, si è optato per la grafia diversa טו cioè 9+6.
Per tanti secoli Tu BiShvat è stato solo una “data”. Ma sotto l’impulso dei kabbalisti, in particolare rav Itzhak Luria che visse a Safed (1534-1572), la ricorrenza da termine fiscale divenne una festa seppur minore, ma assai sentita: nel pieno dei rigori dell’inverno in gran parte della Diaspora, il sogno di un giorno che segna il risveglio primaverile degli alberi in Erez Israel, suscitava nostalgia per la Terra dei Padri e rinnovava il sogno di tornarvi. Per questo la ricorrenza è stata enfatizzata dal Keren Kayemeth, simbolo della rinascita fisica e “verde” della Terra di Israele e alfiere della natura e della sua rinascita a nuova vita. In questo giorno cominciano le fioriture degli alberi da frutto, che, precedendo la comparsa delle foglie, generando immagini particolarmente belle e per questo sempre emozionanti. La bellezza di queste immagini genera a sua volta la speranza di una prossima produzione, saporita ed abbondante. Per quale motivo i kabbalisti (più che altri settori dell’ebraismo colto) hanno spinto l’osservanza e valorizzato questa ricorrenza facendola diventare una “festa”, da semplice “termine temporale” per l’osservanza fiscale di certe mitzwot ? Spiega rav Alberto Somekh che alla base c’è probabilmente la similitudine uomo-albero che è già nella Torah (Devarim 20,19). I kabbalisti probabilmente hanno visto nel ciclo dell’albero una metafora del cammino dell’uomo verso la redenzione finale, tanto attesa. Con la differenza che nell’albero si vede compiuto ciò che nell’uomo non lo è ancora. Il termine tzemach che significa “pianta” è già usato dai Profeti come nome del Messia (Zaccaria 3,8; 6,12) e nella ‘Amidah ci riferiamo a lui con le parole “Et tzemach David meherah tatzmiach” (“fai fiorire in fretta il germoglio di David” (Geremia 23,5).
In concreto a partire dalla fine del 1500 è stato istituito un “Seder”, in onore di Tu Bishvat, in analogia con quello di Pesach ed è anch’esso caratterizzato da quattro bicchieri di vino, con un passaggio graduale dal vino bianco a quello rosso, per simboleggiare la liberazione dai rigori del clima invernale e il passaggio al tripudio vegetativo della primavera. La sostanza del Seder consiste nel consumare (con relative berachot) i frutti per i quali è lodata la Terra d’Israele: grano, orzo, uva, fichi, melograno, olive e datteri.
Il riavvicinamento del Popolo Ebraico alla terra avita grazie al Sionismo e all’azione del Keren Kayemeth ha contribuito a intensificare le celebrazioni di questa festa, coinvolgendo sempre i più giovani ed addirittura i più piccoli per avvicinarli alla terra, alla bellezza delle sue piante e alla bontà dei suoi prodotti. Il Mondo scopre oggi il valore della Terra, la bellezza e la bontà dei suoi prodotti: assistiamo a tante entusiastiche manifestazioni in questo senso, ma i nostri Maestri avevano cominciato ben prima!

Roberto Jona, agronomo

(12 febbraio 2020)