Mattarella in visita in sinagoga
“Ebrei italiani, contributo decisivo”
“Lechaim” e “Shabbat Shalom”. L’augurio per la vita e l’espressione con cui si dà il benvenuto al Sabato, il giorno più importante della settimana ebraica. Sergio Mattarella parla a braccio, il volto che si concede più di un sorriso, conquistando la platea di giovani e giovanissimi che gremisce la sinagoga. Nel giorno della visita alla Comunità ebraica di Roma, una nuova occasione per lanciare un messaggio di consapevolezza a tutta la società italiana.
“Il contributo recato dalla comunità ebraica – afferma il Capo dello Stato – è decisivo nella storia d’Italia. Ma non sempre questo è stato compreso”. Il riferimento è stato in particolare alla “vergogna” delle leggi razziste promulgate 82 anni dal fascismo e a tutto quel che hanno generato. Diritti negati nell’indifferenza generale, ma anche diritti riaffermati poi con la Costituzione. In particolare nel suo articolo tre che, ha ricordato Mattarella, riconosce “in maniera irreversibile e definitiva” il pluralismo della società italiana. Con gli ebrei italiani che spiccano tra gli altri per il loro apporto, definito di “altissimo livello”. Tra i personaggi che hanno lasciato un segno Mattarella cita rav Elio Toaff e gli ex presidenti UCEI Tullia Zevi e Renzo Gattegna. Un pensiero particolarmente affettuoso è andato a quest’ultimo, cui ha inviato i migliori auguri per la propria salute.
Nel suo intervento il presidente della Repubblica è partito da alcuni ricordi di gioventù. “Quando ero bambino, ragazzo, ho vissuto a lungo a Roma e mi sentivo romano. Ma fin dalle elementari alcuni compagni di scuola mi dicevano un vecchio detto, secondo il quale ci vogliono sette generazioni nate a Roma per essere romani. Voi avete 2mila e 200 anni alle spalle. Sono ben pochi – ha sottolineato – a potersi sentire più romani di voi”.
Prima del Capo dello Stato, al quale è stata donata la challah, il pane del Sabato, e che portava in testa una kippah personalizzata con il logo della presidenza della Repubblica, ad intervenire erano stati la presidente della Comunità ebraica Ruth Dureghello e il rabbino capo rav Riccardo Di Segni. Presenti in sinagoga il Consiglio comunitario, rappresentanti di vari organi ebraici, la presidente UCEI Noemi Di Segni. Prima della cerimonia in sinagoga Mattarella aveva visitato il Museo ebraico.
Dureghello, nel prendere la parola, ha ricordato come il Talmud insegni che il mondo si regge sul fiato dei bambini delle scuole. “Oggi – ha detto – i bambini presenti qui nel Tempio Maggiore sono quelli delle scuole ebraiche. Ora, se il mondo si regge sul fiato dei bambini, posso dirle che il futuro degli ebrei in Italia dipende esclusivamente dagli alunni delle scuole ebraiche”. Luoghi vivi, ha proseguito Dureghello, “dove vengono formati i cittadini italiani del domani, in cui vengono insegnati i valori positivi in una società dove l’odio è sempre più presente, attraverso gli insegnamenti della tradizione ebraica”. In queste regole, nei valori millenari dell’ebraismo – ha quindi aggiunto la presidente degli ebrei romani – “c’è il significato della nostra diversità, con cui contribuiamo a rendere l’Italia un posto migliore, più bello e di cui siamo parte orgogliosamente avendo contribuito a renderla unita”. Per Dureghello, nella visita di Mattarella c’è “il riconoscimento più importante e significativo” di tutto ciò. Un riconoscimento, ha concluso, “per cui le siamo sinceramente grati”.
Tre i principi fondamentali che saranno affermati domani, in sinagoga, con la lettura dei capitoli 21-23 dell’Esodo in cui si parla di varie norme civili e penali. “Il primo – ha spiegato il rav Di Segni – è che non esiste libertà senza legge. Gli ebrei scappati dalla schiavitù egiziana erano diventati liberi, ma senza legge, senza Torà, erano un corpo senz’anima”. Il secondo principio evocato dal rav è che la legge “non finisce nei dieci comandamenti”, per quanto importanti ed essenziali siano. “Deve scendere nei dettagli, che sono altrettanto se non più importanti dei concetti generali”. Il terzo principio è che la Torà viene dal Cielo, “ma una volta arrivata in terra non sta più in cielo e la dobbiamo gestire noi, esseri umani con i piedi in terra, per farla crescere e farla misurare sulla realtà quotidiana”.
Ogni società, ha quindi proseguito, si deve basare su un sistema di leggi. “In questo Stato, di cui siamo cittadini, il presidente della Repubblica è il supremo magistrato e il garante della legge e della legalità. Quanto tutto questo sia importante – la sua riflessione – discende dai principi che abbiamo enunciato prima e che ribadiamo continuamente rimanendo fedeli e trasmettendo la nostra tradizione”. La Torà e la legge dello Stato sono due cose differenti ma, come ha illustrato il rav, non in opposizione. “La legge dello Stato che afferma i principi di libertà e uguaglianza è, per dirla con le parole di rav Sacks, espressa nella lingua locale, ma con un forte accento ebraico”.
Il rav Di Segni, che ha anche richiamato il fondamentale ruolo svolto dalla Costituzione a presidio di libertà e diritti, si è poi soffermato su un passaggio dell’intervento del Presidente Mattarella per il discorso di Capodanno, quando aveva citato e condiviso il concetto che quando si perde il diritto di essere differenti, si perde il privilegio di essere liberi. “Questo principio – ha concluso il rabbino capo – non vale solo per le differenti abilità, ma per ogni differenza. La differenza di cui siamo portatori la viviamo come un arricchimento per tutti. La società che ha paura del diverso, che vuole omologare tutti quanti, non è più una società libera. Grazie presidente per averlo ricordato a tutti gli italiani”.
(21 febbraio 2020)