Lotta all’antisemitismo, i valdesi:
“Sempre al fianco, per i diritti di tutti”
“L’antisemitismo, mai sopito, si sta rinfocolando in Europa e anche in Italia. Questo avviene nel contesto di una diffusione di discorsi di odio, di umori alimentati dalla propaganda, di percezioni non vagliate alla prova dei dati e dei fatti.”
È la premessa che ha animato molteplici iniziative organizzate dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia in occasione della “Settimana della libertà”, l’appuntamento annuale che celebra la concessione dei diritti civili ai valdesi, avvenuta il 17 febbraio 1848 per effetto delle Lettere Patenti emanate da Carlo Alberto. Poche settimane e analoga possibilità sarebbe stata data ai cittadini ebrei. Un comune destino richiamato con forza nel corso dell’evento conclusivo di questa settimana di introspezione e riflessione, organizzato assieme alle Chiese protestanti di Roma nella sede della facoltà valdese di Teologia e con ospite la presidente UCEI Noemi Di Segni.
Ad aprire l’incontro le parole del pastore Luca Maria Negro, presidente della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia. “Il 29 marzo del 1558 – ha affermato – l’Inquisizione bruciava sul rogo il predicatore valdese Goffredo Varaglia. Lo stesso giorno, 290 anni dopo, Carlo Alberto riconosceva agli ebrei i diritti civili. Mi piace pensare che vi sia un significato in questa data. Perché se è vero che una è parte di una memoria drammatica e l’altra di una gioiosa, il primo evento è oggi commemorato con una targa che è stata fatta mettere davanti a Palazzo Madama, in pieno centro a Torino, ponendo fine a una lunga damnatio memoriae. La riflessione è che ebrei e protestanti hanno senz’altro almeno una cosa in comune ed è lo spendersi insieme per le libertà di tutti”. Nella targa per Varaglia si “inciampa”. Al pari delle stolpersteine che ricordano le vittime del nazifascismo, oggetto in passato di vandalizzazioni antisemite. “Come cristiani – la riflessione di Negro – dobbiamo inciampare nel fatto che l’inimicizia verso gli ebrei ha fatto parte del bagaglio normale del cristiano qualunque. È dopo la Shoah che è stata avviata una nuova fase, alla ricerca di una nuova comprensione e di un nuovo rapporto con l’ebraismo”.
Temi poi sviluppati dal teologo Paolo Ricca, docente emerito della facoltà. “L’antisemitismo – ha sottolineato – è una malattia tipica e cronica del cristianesimo. La guarigione da questa malattia virulenta può essere solo una conversione”. Un cambio di rotta necessario perché “a fronte di tante belle dichiarazioni, una vera presa di coscienza di popolo ancora non si vede”. Secondo Ricca la radice profonda dell’antisemitismo rivelato dalla Shoah “è il rifiuto del Dio degli ebrei: un Dio che ti chiama per nome, che è più vicino a te di te stesso”. Vi è infatti un nesso, per il teologo, con la secolare persecuzione operata dalla Chiesa. “Pur perseguitandoli, i vertici della Chiesa non hanno voluto che gli ebrei sparissero. Servivano infatti come monito, una lezione da esibire: ecco cosa succede a chi non accoglie Cristo. È arrivata poi la Shoah a svelare la vera natura, profonda e inconscia dell’antisemitismo: il desiderio che non ci sia l’ebreo”.
Il teologo Daniele Garrone, leggendo alcuni passi da una cronaca delle celebrazioni per i 50 anni dell’emancipazione valdese nel 1898, ha messo in evidenza diversi slanci di solidarietà verso il mondo ebraico (a confronto in quei mesi con il caso Dreyfus). “Noi con voi”, il messaggio che traspare da quelle parole. E che Garrone ha voluto confermare ieri, davanti a nuove minacce e parole di odio. “Anche noi – ha spiegato – vogliamo dire no all’orrenda piaga dell’antisemitismo, contrastando non solo i fatti ma anche un certo tipo di cultura che sta attorno ad esso: l’atteggiamento di chi tollera, minimizza, ignora”. Emozionanti i ricordi di studente della scuola ebraica torinese, con una chiara lezione allora appresa dalla preside Amalia Artom, madre di Emanuele eroe della Resistenza barbaramente trucidato dai nazifascisti. “Il suo insegnamento – ha detto Garrone – è che la miglior memoria è la storia, la piena consapevolezza di ciò che è successo. Solo allora scaturirà il coraggio civile di fare la tua parte in questa società”.
A fare il punto e a rispondere alle varie sollecitazioni emerse l’intervento della presidente Di Segni. Esprimendo gratitudine per questa nuova iniziativa di amicizia da parte delle rappresentanze valdesi, la presidente dell’Unione ha spiegato come talvolta non sia semplice confrontarsi con richieste di scuse ufficiali che provengono dal mondo cristiano. Anche se le relazioni con le istituzioni valdesi fanno storia a sé, nel segno del comune percorso “avviato nel 1848”.
Tre le linee d’azione segnalate dalla presidente UCEI. La prima è “l’alleanza delle esperienze valoriali, l’impegno congiunto delle religioni in contesti non religiosi”. Al riguardo ha osservato che il gesto di far illuminare la Mole Antonelliana con un messaggio contro l’antisemitismo ha rappresentato “un fatto forte e coraggioso, perché non tutti gridano questo no così forte”. Seconda linea d’azione “la coerenza e la sfida ad ogni forma di negazionismo”. In questo senso si è coerenti anche “quando si rigetta l’attribuzione ad Israele di caratteristiche proprie degli aguzzini della Shoah, quando si contrasta la demonizzazione dello Stato, quando ci si oppone a risoluzioni internazionali che negano la radice ebraica di Gerusalemme”. È inoltre fondamentale capire, ha aggiunto Di Segni, che l’antisemitismo ha tante sfaccettature: l’antigiudaismo cristiano, il populismo sulla rete, l’integralismo islamico. “Non si può affrontarlo solo in parte. L’approccio – ha detto – deve essere globale”. Terza linea la sfida di far maturare quello “che è già maturato a livello istituzionale e al livello dei vertici della Chiesa”. Serve, ha concluso Di Segni, uno sforzo per far calare quanto acquisito “affinché diventi patrimonio umano dei singoli individui”.
(24 febbraio 2020)