Renzo e i monatti
Capitolo 34 dei “Promessi sposi”. Renzo entra in una Milano devastata dalla peste, nel panico generale viene additato come uno dei presunti untori, di coloro cioè che secondo il popolo terrorizzato dal contagio ungerebbero gli usci delle case e sarebbero quindi responsabili dell’immensa moria. Renzo, che è immune alla peste perché già l’ha contratta ed è guarito, riesce a sfuggire alla folla saltando su uno dei carri dei monatti, gli odiati becchini che si occupano del trasporto degli ammalati al lazzaretto e dello sgombero dei cadaveri, spesso dopo averli spogliati dei beni.
“Certo, posso dire che vi devo la vita”, rispose Renzo: “e vi ringrazio con tutto il cuore”.
“Di che cosa?” disse il monatto: “tu lo meriti: si vede che sei un bravo giovane. Fai bene a ungere questa canaglia: ungili, estirpali costoro, che non vaglion qualcosa, se non quando son morti; che, per ricompensa della vita che facciamo, ci maledicono, e vanno dicendo che, finita la moria, ci vogliono fare impiccar tutti. Hanno a finir prima loro che la moria; e i monatti hanno a restar soli, a cantar vittoria, e a sguazzar per Milano”.
“Viva la moria, e moia la marmaglia!” esclamò l’altro.
Mi sono venuti in mente i monatti che salvano Renzo pensando a chi difende Israele perché lo considera un paese razzista “che sa tenere gli arabi al loro posto” con politiche di discriminazione. Come i monatti, costoro utilizzano argomenti sbagliati (la difesa dei presunti untori contro la marmaglia e il presunto razzismo di Israele) per arrivare a conclusioni condivisibili (salvare un passante un po’ sprovveduto che rischia il linciaggio e difendere l’unico paese democratico del Medio Oriente, contro cui si concentra un fuoco inusitato di propaganda che è di fatto, piaccia o no, antisemita). E’ forse difficile accettare che esista un numero crescente di persone che si dicono e talvolta si sentono vicine a Israele sulla base di un grossolano fraintendimento. Ancora più difficile, ma a parere di chi scrive necessario, è dire a questi presunti amici: “No, grazie”.
Giorgio Berruto