Spinoza
Ci vorrebbe un trattato per descrivere la crisi che sta attraversando l’Occidente tutto in seguito all’emergenza coronavirus. Tra le varie implicazioni c’è la grande sfida geopolitica fra modelli sociali. Si discute molto del confronto fra stati autoritari e democrazie, con l’ago della bilancia che, a sentire molti opinionisti, pende sinistramente per i primi. Innumerevoli i commenti che celebrano l’efficienza della macchina di contenimento cinese, contrapposta al disordine democratico, dove manco si riesce a sospendere un campionato di calcio. Ricostruzioni che più semplicistiche non si può. Come se l’Iran, famosa democrazia, stesse dando prova di efficienza e la Corea del Sud, democrazia vera invece, non stia dimostrando di contenere il contagio. Se si elabora una teoria, così dovrebbe essere, bisogna tenere conto di tutti i dati. La discriminante sembra piuttosto essere la capacità di coinvolgere i cittadini nelle decisioni assunte. Altro che controlli (ma davvero qualcuno crede che si possano controllare 60 milioni di persone? Ci vorrebbero almeno 30.000.000 di poliziotti armati pronti ad agire). Se questa è la discriminante, se proprio vogliamo trovare una sfida è fra modelli collettìvisti-orientali e individualisti-occidentali. Ma anche questo schema è assai schematico e a me gli schemini non sono mai piaciuti. A far ulteriore confusione ci si sono messi i filosofi. Con un articolo, girato molto fra gli addetti ai lavori, Giorgio Agamben, forse il più noto filosofo italiano all’estero, ha evocato lo stato d’eccezione, il momento in cui il potere politico approfitta delle circostanze per imporre una svolta autoritaria. Un perfetto esempio di quando la filosofia si tramuta in ideologia. Viste le circostanze, anche a commentarle queste fantasie che starebbero bene sulla bocca di un adolescente viene da sorridere. Ma visto che a filosofo si risponde con filosofo, non si può non citare un brano del Trattato teologico-politico di Baruch Spinoza. Un classico del pensiero democratico occidentale. Ripeto, del pensiero democratico. Prima di citare l’ampio brano (da leggere tutto!) premetto che per Spinoza vivere secondo ragione significa proprio vivere avendo di mira la propria conservazione. E che le iniziali «queste cose» sono le decisioni che riguardano il bene comune.
“Dunque, il compito di provvedere a queste cose pesa soltanto sul potere sovrano, mentre sui sudditi, come abbiamo detto, pesa il compito di eseguire i suoi comandi e di non riconoscere altro diritto all’infuori di quello che il potere sovrano dichiara esser tale. Ma forse qualcuno penserà che in questo modo noi rendiamo schiavi i sudditi, dato che si ritiene che sia schiavo colui che agisce per comando e libero colui che si regola a suo piacimento; il che non è vero in assoluto, poiché, in realtà, è in sommo grado servo colui che è trascinato dal suo piacere al punto da non poter vedere né fare ciò che per lui è utile, e libero soltanto colui che vive con tutto l’animo soltanto sotto la guida della ragione. D’altra parte, l’azione per comando, cioè l’ubbidienza, toglie di sicuro in qualche modo la libertà, ma non rende senz’altro schiavi: a far ciò è il motivo dell’azione. Se il fine dell’azione non è l’utilità di chi agisce, ma di chi comanda, allora chi agisce è schiavo e inutile a se stesso; ma nell’ambito dello Stato e dell’esercizio del potere, dove è legge suprema la salvezza di tutto il popolo, e non di chi comanda, colui che ubbidisce in tutto al potere sovrano non deve essere detto schiavo inutile a se stesso, ma suddito. E perciò è massimamente libero quello Stato le cui leggi sono fondate sulla retta ragione: qui infatti ciascuno, se vuole, può essere libero, cioè vivere con tutto l’animo sotto la guida della ragione. Così, anche i figli, sebbene siano tenuti ad ubbidire a tutti i comandi dei genitori, non per questo sono schiavi, perché i comandi dei genitori riguardano soprattutto l’utilità dei figli.
Esiste dunque una grande differenza tra lo schiavo da una parte, e il figlio e il suddito dall’altra, i quali, perciò, si definiscono così: schiavo è colui che è tenuto ad ubbidire ai comandi del padrone, comandi che riguardano soltanto l’utilità di chi comanda; figlio, invece, è colui che fa ciò che è utile a se stesso per comando del genitore; suddito, infine, colui che fa ciò che è utile alla comunità e, di conseguenza, anche a se stesso, per comando del potere sovrano.».
Davide Assael