Ticketless – Quasi evangelista,
quasi talmudista

cavaglionMentre si guarda con trepidazione al domani sono di grande conforto le lettere che Paolo De Benedetti (1927-2016) scambiò con Cesare Angelini (1886-1976), presbitero, scrittore e grande studioso di letteratura, Rettore dell’Almo Collegio Borromeo di Pavia. Fra le altre cose Angelini, negli anni Trenta fu viaggiatore illuminato a Gerusalemme, lettore del futuro conflitto arabo ebraico esente da pregiudizi.
Un carteggio fra i più appassionanti che mi sia capitato di leggere negli ultimi tempi è ora disponibile (“Quasi evangelista, quasi talmudista. Lettere 1949-1975”, a c. di N. Leone-F. Maggi, Morcelliana). La linea geografica è oggi tutta interna alla zona rossa: Asti, Pavia (la via Volta, la casa del Foscolo, la torta paradiso di Vigoni di cui De Benedetti andava ghiotto), Milano (Valentino Bompiani, i Navigli, le librerie storiche, le memorie manzoniane).
I curatori individuano nella “ironica letizia” la giusta chiave di lettura. Un giorno Angelini viene interpellato da una sconosciuta in treno che gli chiede se conosce Angelini: “Le ho risposto di no, ricordandomi quello che dice Socrate, che l’uomo non conosce sé stesso. Ma poi mi ha conosciuto lei; e anche questo mi ha confermato che è più facile conoscere il prossimo che sé stessi”. Paolo De Benedetti non è da meno, se si pensa a quanto scrive nel dicembre 1955, 28 anni appena compiuti: “Se nascevo solo un giorno più tardi, anzi una notte (perché son nato a notte fonda) diventavo lupo mannaro. Ad ogni modo non c’è molta differenza: la luna agita lupi mannari e poeti allo stesso modo”.
La scoperta che questo volume lascia intravedere mi sembra notevole: dalla poesia all’ebraismo (non viceversa) il passo è breve e pieno di tenerezza. Il dolce cammino che porta De Benedetti a diventare il grande studioso di cose ebraiche che conosciamo appare chiarita da queste lettere. A diventare “quasi talmudista” pdb (chiamato così dagli amici) arriva attraverso un percorso singolare, forse non unico. La fede e la conoscenza del Sacro nascono insieme all’amore per la poesia, ne sono parte integrante. Negli anni Cinquanta il giovane De Benedetti è lontano dagli studi biblici. Spedisce cinque o sei liriche per volta alla rivista di Angelini. Dalla prosa poetica (nel carteggio c’è una descrizione incantevole degli argini del Po a Pavia in una serata nebbiosa, una pagina di alta letteratura che ci rende fra l’altro più affettuosamente vicini a quegli argini in queste ore meste di sofferenza) all’interpretazione poetica dei Salmi: “Perché non solo i Salmi uniscono nella preghiera le varie Chiese cristiane, divise altrimenti anche sui testi biblici, ma anche uniscono cristiani ed ebrei. Se l’Antico Testamento è letto da loro in maniera diversa, e quindi non si può dire veramente comune, l’uso dei salmi è invece il grande incontro di tutti. Ed è, veda un po’, un miracolo anche della poesia, no?”.

Alberto Cavaglion