L’Italia e il coronavirus, l’indagine Swg “Paese favorevole a misure restrittive, ma serve l’offerta di nuovi contenuti”
“Il paese è pronto e favorevole a misure più drastiche ma, una volta adottate, servirà implementare nuove soluzioni per chi rimane a casa. Altrimenti il sentimento più diffuso rischia di essere la rabbia”. È la lettura del direttore di ricerca di SWG Riccardo Grassi rispetto all’ultima indagine del prestigioso istituto triestino che fotografa i sentimenti degli italiani di fronte all’emergenza coronavirus. All’ultimo decreto governativo, che blinda di fatto tutto il paese, la maggior parte degli italiani è arrivato con la sensazione che si stesse facendo abbastanza, anzi molti chiedevano misure ancor più restrittive. Il 39% degli intervistati da Swg tra il 4 e il 6 marzo alla domanda “Secondo lei, l’Italia sta prendendo tutte le misure necessarie per affrontare la diffusione dell’epidemia?”, ha risposto: “sì, ma si potrebbe fare di più”. La settimana precedente si era al 29%, il che fa capire come il paese si sia sempre più reso conto della gravità della situazione. Non è un caso se nello stesso rilevamento la percentuale di chi considerava le misure eccessive si sia considerevolmente ridotto, passando dal 22% al 14% (il 31 considerava le misure adottate sufficienti e il 16 non abbastanza). L’Italia dunque era in larga parte pronta all’inasprimento arrivato con il decreto annunciato ieri dal Presidente Conte (successivo al rilevamento di Swg). E ci arrivava con un’emozione prevalente: l’attesa. “Contrariamente a quanto si possa pensare non è la paura l’emozione predominante seppur sia cresciuta. Non è la rabbia, ferma sui dati medi. Ma c’è un tema importante di attesa e questo si riflette anche sui dati delle intenzioni di voto, fermi da settimane. Dopo la fase del grande spavento, dopo la minimizzazione, adesso entriamo in una fase (che non sappiamo quanto durerà) di normalizzazione. C’è meno emotività nelle istituzioni e anche il giudizio delle persone è sospeso. Ma non lo rimarrà in eterno.- sottolinea il direttore di ricerca di Swg – Adesso, considerando che abbiamo davanti a noi almeno due mesi di gestione della situazione emergenziale, bene affrontare la questione economica, benissimo quella sanitaria, ok la riflessione sulla scuola però va ripensato anche come insegnare alle persone ad affrontare questo periodo. Il rischio che l’attesa, se non si danno risposte, si trasformi in rabbia è molto probabile”. L’esempio che porta Grassi è quello della nuova quotidianità di questi giorni di code per acquistare beni alimentari: “se per comprare due cose al supermercato devi aspettare 30 minuti, è un attimo che la tua emozione rischia di trasformarsi in rabbia se manipolata”.
Il tema è: quanto gli italiani sono in grado di reggere condizioni più severe? E su questo Grassi spiega come sarà importante la comunicazione e l’offerta messa in campo dalle istituzioni: “Questa non è una crisi che si risolve in due settimane, quindi anche l’indicazione ‘State a casa’, punto e basta, ora funziona ma tra una settimana, quando si comincerà a dire: le scuole sono chiuse fino al 3 aprile, o forse fino al 12, o al 15 e comunque fino a fine aprile la situazione non si sblocca, il messaggio non può rimanere lo stesso. Servirà quindi entrare in una nuova fase, non solo di comunicazione ma anche di offerta di contenuti per chi sta a casa”.
Ultimo ma significativo il tema di chi, almeno fino a una settimana fa, seguiva con minore rigore le indicazioni sanitarie. In particolare fa riflettere il dato rispetto alla richiesta agli over 65 di non uscire di casa: il 43% degli intervistati non pensava di seguire questa indicazione. “Il dato stupisce perché stiamo parlando della fascia più a rischio. Credo che il dato oggi sia già diverso ma comunque fa riflettere sulle implicazioni delle misure sulla nostra vita: quella è una generazione per cui è difficile cambiare le abitudini, soprattutto di socialità. In particolare pensiamo ai casi di chi dice ‘sono solo, non vedo i figli, non ho lavoro, non ho la cura della famiglia e ora mi dici che non possono uscire, non posso andare in chiesa o in sinagoga, al centro anziani? Senza questo, sono solo un vecchio’. Si rischia di privare un’identità. Ed è una questione importante anche per le prossime settimane: è la dimostrazione, come per i giovani, che ci vuole una comunicazione mirata e un aiuto mirato”.
Daniel Reichel