Cosa lascerà dentro
In questi giorni insoliti certo non è facile parlare di qualcos’altro che non sia la pandemia di Covid-19 in corso. Sapientemente viene consigliato di approfittare di questo tempo in casa per leggere, scrivere, guardare vecchi film, o imparare una nuova lingua. Ma poi, per me e credo per molti altri, l’attenzione è costantemente rivolta ai bollettini quotidiani, ai drammatici racconti provenienti dagli ospedali, ai dati statistici, e alle previsioni sull’andamento del virus. Forse viene meno anche l’esortare al fondamentale monito di “non uscire”, perché fuori di casa lo scenario è desolante al pari delle notizie che scorrono sui nostri schermi. Ancora più scioccante è sapere che nei paesi a noi confinanti si continua a condurre per lo più una vita apparentemente normale, in Francia le piste di sci sono tutt’ora aperte tanto da invitare gli ultimi italiani desiderosi di vacanze, nei mari circolano navi da crociera, in Germania a parte le scuole chiuse da poco i locali sono aperti, e non mancano gli eventi. Eppure, la velocità del contagio in Francia, in Germania o in Spagna è la stessa che in Italia, soltanto una decina di giorni di ritardo rispetto a noi. Qui adesso a dominare è un inquietante silenzio rotto ogni tanto dal suono delle ambulanze, gli unici luoghi rumorosi e movimentati restano probabilmente i reparti di terapia intensiva, della Lombardia soprattutto. Questo periodo distopico di isolamento prima o poi be’ezrat HaSh-m terminerà, ma forse bisognerebbe cominciare a chiederci già cosa poi lascerà dentro di noi, quanto impatterà sulle nostre vite e sulla nostra psiche. Nei confronti del resto del mondo si ha adesso la sensazione di essere tutti dei contagiati asintomatici e inconsapevoli. Ci guardiamo tra noi con sospetto e timore. Continueremo a mantenere anche dopo un metro di distanza l’uno dall’altro in memoria dell’attuale abitudine? Oppure riscopriremo una rinnovata unità e un nuovo modo di stare insieme?
Francesco Moises Bassano
(13 marzo 2020)