La legge della vita
“A man stood beside him; upon his head a hand rested gently. His son was good to do this thing. He remembered other old men whose sons had not waited after the tribe had gone. But his son had. The old man’s thoughts wandered away into the past, until the young man’s voice returned him to the present. “It is well with you?” he asked. And the old man answered, ‘It is well.’ ”
Così raccontava Jack London (The Law of Life) l’abbandono di Koskoosh, un vecchio capo tribù degli Inuit, lasciato a morire nel freddo. Le civiltà primitive recano spesso testimonianza del senicidio, in qualche modo incistato nel diritto consuetudinario. Anche negli animali (nei topi, sembrerebbe) vi sarebbe qualche fenomeno non molto dissimile. Andando indietro nella scala zoologica, ora è un virus a farsene carico, per di più un virus dal nome nobile: “corona virus”. Un boia che aggredisce gli anziani, per di più quelli con la salute compromessa, inondando l’inconscio di qualche sussulto consolatorio, come sempre accade con la morte. La quale è invariabilmente circondata da qualche omaggio, e non sembra un caso che quando i solerti giornalisti televisivi interroghino i vicini su qualche morte violenta, costoro si sentano in obbligo di lodare il trapassato, come se gli unici eterni fossero i farabutti.
È molto sciocco ipotizzare che un virus condivida coi selvaggi dei biechi istinti senicidi; è sciocco, sì, ma chi di noi non lo è?
Emanuele Calò
(17 marzo 2020)