Non cadere nella trappola
La designazione di Benny Gantz a capo del governo da parte della maggioranza della Knesset non significa ancora la formazione di un governo sorretto dalla stessa maggioranza. In Israele designazione del capo del governo e formazione di una maggioranza e quindi di un governo sono due atti distinti anche formalmente e quindi la designazione di Gantz apre la strada a più scenari. Uno potrebbe essere appunto quello della formazione di un governo sorretto dalla stessa maggioranza che l’ha designato, anche se non necessariamente con la partecipazione di tutti i partiti che hanno concorso alla sua designazione. Ma la formazione di una tale maggioranza potrebbe essere impossibile per le note posizioni di Yisrael Beytenu, il partito di Avigdor Lieberman, ostile alla riconferma di Netanyahu ma anche a un’alleanza organica con i partiti che formano la Lista Araba Unita. Potrebbe perciò essere riproposta la soluzione di un governo di unità nazionale, guidato però da Gantz e non da Netanyahu; ma anche in questo caso le variabili sono numerose: un governo di unità nazionale sorretto da tutti i partiti presenti nella Knesset oppure formato solo dai due maggiori schieramenti, Bianco e Blu e Likud?
Tutte queste opzioni sono ancora possibili e sono tutte perfettamente legittime da un punto di vista costituzionale. Anzi, bisogna sottolineare che il presidente Rivlin si è mosso in tutta la durata della crisi (anzi, durante tutto il percorso che ha portato a tre elezioni consecutive) con un assoluto rispetto, non solo formale ma anche sostanziale, delle regole costituzionali, avendo come fine la formazione di un governo che contasse su una maggioranza nella Knesset. Se questo non è stato possibile non è certo sua la responsabilità. E anche quest’ultimo atto – la designazione di Gantz – è stato compiuto nel più assoluto rispetto delle regole; si dovrebbe dire, anzi, che è stato un atto dovuto perché di fronte alla designazione della maggioranza della Knesset qualunque altra scelta sarebbe stata una grave violazione delle regole.
Contro tale soluzione si sono levate molte voci che, in maniera del tutto legittima, hanno espresso, con varie motivazioni, un’opinione contraria. Ma accanto a queste voci che si muovevano sul piano di una, ripeto, legittima critica politica se ne sono levate altre che hanno gridato al tradimento, chiamando “traditori” tutti coloro che stavano lavorando per una soluzione di questo tipo. Voci che si sono levate in Israele ma anche fuori, sul web e anche in altre sedi, e spesso ad opera di persone che non solo non sono cittadini israeliani ma non sono nemmeno ebrei.
Si sperava che, dopo la tragedia dell’assassinio di Yitzhak Rabin, grida del genere non si sarebbero più udite ma evidentemente la faziosità politica non conosce limiti. Tradimento è una parola grossa che dovrebbe essere usata esclusivamente quando ci sono prove che sia stato messo in atto coscientemente un comportamento contrario agli interessi della nazione. Viceversa le forze politiche di destra, non solo in Israele, usano con molta, troppa facilità questa parola autonominandosi depositarie delle ragioni del patriottismo.
Allora bisogna dire con grande chiarezza che, se la Corte suprema d’Israele ha ritenuto legittima la presenza nella Knesset di una lista che rappresenta la minoranza araba, è del tutto legittimo che tale lista possa partecipare, se richiesta, alla formazione di una maggioranza parlamentare.
Chi oppone ragioni di principio a questa possibilità sembra dimenticare che uno dei maggiori vanti dello Stato d’Israele è quello di essere l’unico Stato democratico del Medio Oriente, dove i cittadini di tutte le etnie hanno pari diritti civili e politici. Rifiutare con motivazioni, ripeto, non legate a scelte politiche ma di tipo ideologico la formazione di un governo appoggiato dalla Lista Araba Unita significa venir meno a questo fondamentale principio.
A queste considerazioni di principio se ne aggiungono altre più strettamente politiche. Nelle voci che da destra si sono levate contro un qualsiasi ruolo della Lista Araba Unita nella formazione del governo uno degli argomenti è stato l’assimilazione dei partiti che fanno parte della Lista al terrorismo. In realtà la politica estremista che l’OLP conduce da tempo ha proprio l’obiettivo di spingere Israele a una reazione di tipo ugualmente estremista, il cui primo bersaglio sarebbero proprio gli arabi israeliani. Chiunque osservi la situazione senza passioni di parte si rende conto che questo sarebbe un gravissimo errore: gli arabi israeliani sono cittadini come gli altri a tutti gli effetti e hanno dato prova di essere integrati nello Stato, con tutte le riserve che sono proprie di tutte le minoranze nazionali, non solo in Israele ma anche in Italia e in altri Paesi europei. Sarebbe un errore molto grave cadere nella trappola tesa dall’OLP: significherebbe dare altri argomenti alla propaganda antiisraeliana e davvero non ce n’è proprio bisogno.
Valentino Baldacci
(19 marzo 2020)