Come salveremo il Seder?
Tra le inquietudini di questo brutto momento senza dubbio per molti di noi c’è l’angoscia per Pesach, e in particolare per il seder. Purim è stato solo un piccolo assaggio, forse anche un utile campanello di allarme perché ci preoccupassimo con un mese di anticipo, in tempo per organizzarci. Come faremo a procurarci i prodotti kasher le-Pesach? Usciremo di casa per prenderli? Come lo giustificheremo? Oppure in qualche modo ci saranno recapitati? E ci saranno cibi kasher le-Pesach per tutti, anche per noi delle piccole e medie Comunità? Anche per le persone che non si possono permettere di spendere grandi somme? Anche per chi non sarà in grado di organizzarsi autonomamente? Potremo contare sulla solidarietà di Israele o di altri paesi? O forse tra tre settimane nessuno starà molto meglio di noi?
Inutile ricordare che Pesach è tra le feste più importanti del calendario ebraico, per molti la più importante di tutte; intorno alla tavola del seder si riuniscono le famiglie, talvolta sparse per varie città, stati o continenti, si invitano gli amici vecchi e nuovi, gli ospiti fissi e quelli di passaggio, a volte si partecipa al seder della Comunità o di qualche organizzazione ebraica. Lunghe tavolate, persone che si incontrano solo al seder e alla fine oltre ad augurarsi “l’anno prossimo a Gerusalemme” si congedano con la fondata convinzione di rivedersi l’anno successivo. Si mangiano i cibi prescritti e quelli che per le tradizioni di famiglia non possono mancare, con ricette che vengono riprodotte scrupolosamente di generazione in generazione. Si recita l’Haggadà, si cantano le melodie tradizionali o talvolta – con molta parsimonia e facendo attenzione a che nessuno dei presenti resti deluso dal cambiamento – se ne introduce qualcuna nuova. E, soprattutto, si narra dell’uscita dall’Egitto, si discute, ci si confronta, si coinvolgono i più piccoli che almeno per due sere all’anno sono i protagonisti indiscussi.
Cosa ci resterà quest’anno di tutto questo? Temo ben poco.
Certo, il seder si farà. È stato celebrato nei ghetti, in prigione, nei campi profughi e nei nascondigli, figuriamoci se non potremo celebrarlo nelle nostre case. Ma che tristezza! Che tristezza per chi era abituato alle grandi tavolate e si ritroverà con il proprio nucleo famigliare, che tristezza ancora più grande per chi si ritroverà completamente da solo. E, a differenza di Purim, non ci sarà neppure la possibilità dello streaming. Come potremo far sì che per molti il seder non si trasformi in un incubo? O che, peggio ancora, non ci sia qualcuno che sarà costretto dalle circostanze a rinunciare del tutto?
Senza dubbio questa sarà una grande prova per le nostre Comunità, per l’UCEI, per tutti gli ebrei italiani. Troveremo il modo garantire a tutti non solo il cibo ma anche aiuto, informazioni, suggerimenti in modo che la festa della libertà non sia del tutto priva di gioia per nessuno? Se questa prova sarà superata ne usciremo più forti e più coesi, altrimenti sarà una ferita che impiegherà molti anni, se non decenni, a rimarginarsi.
Anna Segre
(20 marzo 2020)