L’Italia ebraica e l’emergenza
“Resilienza e senso di comunità”

Schermata 2020-03-20 alle 14.00.53Israele guarda con grande attenzione a cosa accade in Italia. Lo dimostrano i gesti di solidarietà delle diverse città israeliane, con bandiere tricolore proiettate su municipi e mura cittadine. Ma lo dimostrano anche i diversi colloqui tra le autorità israeliane e le istituzioni ebraiche italiane: questa settimana ad esempio, il ministro della Diaspora Tzipi Hotovely ha voluto parlare con la presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni per offrire l’aiuto del governo di Gerusalemme e per avere un quadro di come l’ebraismo italiano stia rispondendo davanti alla crisi. Un quadro che la presidente UCEI ha descritto nelle scorse ore anche in un’ampia intervista pubblicata dal Jerusalem Post, spiegando come l’Unione si stia muovendo per dare risposte alle tante esigenze delle persone in questa complicata crisi sanitaria. “La gente sente di aver bisogno di comunità, ed è un valore ebraico far sì che non si senta sola, che si senta parte di un gruppo più grande, una comunità che è lì per fornire loro un sostegno istituzionale”, ha sottolineato Di Segni al Post. Le persone sono in difficoltà, spiega la presidente UCEI, in questo essere fortemente limitate “ma riescono a gestirsi, e noi stiamo cercando di aiutarle con varie attività online e servizi di supporto”. Tra questi, racconta il quotidiano israeliano, l’UCEI “aiuta a fornire alle persone cibo casher se non possono raggiungere i negozi, mentre i rabbini offrono lezioni di studio religioso online, eventi culturali e attività per i bambini rinchiusi in casa tutto il giorno”.
La vita ebraica, che si basa sulla comunità, è stata inevitabilmente stravolta dalle misure adottate dal governo italiano per contenere i contagi da coronavirus. “Tutte le sinagoghe sono state chiuse e tutti i servizi di preghiera comunitari sono stati cancellati. L’unica possibilità è che la gente preghi a casa”, riporta il Jerusalem Post, mettendo in luce come una delle difficoltà delle prossime settimane sarà legata alle celebrazioni di Pesach. “Le persone hanno bisogno di procurarsi matzot, vino e altri prodotti casher per Pesach, cosa che, dato l’attuale blocco nazionale, è estremamente difficile. – riporta il Jerusalem Post – L’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane ha messo a punto un kit di strumenti online per aiutare le persone a condurre un seder, tra cui una Haggada di Pesach stampabile, tradotta e traslitterata per coloro che non sanno leggere l’ebraico. L’Unione sta anche lavorando per garantire che tutti i prodotti alimentari essenziali per Pesach siano importati nel Paese e sta creando centri di distribuzione e consegne a domicilio”.
“La sensazione nella comunità ebraica è che questa situazione sia più grande di noi – ha spiegato Di Segni – la gente è preoccupata perché non sa quando finirà questa crisi” e teme anche le ripercussioni sulla propria situazione finanziaria, con persone impossibilitate a lavorare e con le aziende chiuse. “Le persone sono spaventate e stressate ma, d’altra parte, cercano di reagire con leggerezza a questi eventi. Condividono canzoni, si rivolgono ai vicini, mangiano e bevono insieme in videoconferenze online e si parlano regolarmente, e noi cerchiamo di aiutarli a sentirsi il più possibile parte di una comunità”.
Ad aiutare lo sviluppo di questo senso di comunità, le diverse piattaforme social: sul canale Facebook UCEI in queste settimane ha preso infatti il via un fitto programma di appuntamenti per adulti e bambini, costantemente aggiornato con interventi di rabbini e di esperti in diversi settori. Anche la redazione giornalistica di Pagine Ebraiche è impegnata su questo fronte, con tre spazi quotidiani dedicati al commento alla rassegna stampa (ore 9.00), alla presentazione del notiziario quotidiano Pagine Ebraiche 24 (ore 13.30) e a un approfondimento serale, Pilpul (22.30), in cui i giornalisti della redazione analizzano, con l’aiuto di alcuni ospiti, tematiche di grande attualità.

Al centro del Pilpul di ieri una notizia positiva di cui, in questo momento di difficoltà, si sentiva il bisogno: il conferimento del prestigioso Premio Abel al matematico israeliano Hillel Furstenberg. A raccontarci la sua storia – fatta di passaggi dolorosi, come la fuga dalla Berlino nazista, ma anche di scelte coraggiose, come lasciare le prestigiose università americane per fare l’aliyah in un’Israele non ancora così grande nelle scienze come è oggi – la figlia Shulamit Furstenberg Levi. “I suoi colleghi gli dicevano: ma tu sei matto, lasci la tua bella carriera negli Stati Uniti per andare in Israele, dove non c’è niente”, racconta Shulamit, dando un affettuoso quadro del carattere del padre, scienziato ma anche “grande insegnante, capace di creare discepoli in tutto il mondo”. “È una persona – aggiunge la figlia – che vive tra tante discipline, dalla matematica alla Torah, e che vive in armonia, una bella armonia”.