Il ruolo dei medici

francesco bassano“Risiedo a Misr al-Fustat ed il Sultano risiede ad al-Qahira. Questi due luoghi distano due giorni di Shabbat tra di loro. I miei doveri verso il Sultano sono alquanto pesanti. Sono obbligato a visitarlo ogni giorno, al mattino presto; e quando egli o uno dei sui figli, o le persone del suo harem, sono indisposti, non oso lasciare il Cairo, ma devo stare al palazzo per la maggior parte della giornata. Accade anche frequentemente che uno o due dei funzionari reali si ammalino, ed io devo pensare a curarli. Di regola vado al Cairo molto presto al mattino, ed anche se non accade nulla di particolare, non ritorno a Fustat fino al pomeriggio. E allora son quasi morto di fame. Trovo le mie sale d’aspetto piene di gente, sia ebrei che gentili, nobili e comuni, giudici e amministratori, amici e nemici — una moltiudine mista, che aspetta il mio rientro. Scendo dalla mia cavalcatura, mi lavo le mani, vado dai miei pazienti e chiedo loro di sopportarmi mentre mangio qualcosa, unico pasto che consumo in ventiquattro ore. Poi mi dedico ai miei pazienti, i quali vanno e vengono fino a notte, e a volte, ti assicuro solennemente, fino alle due di notte e oltre. Discuto e prescrivo mentre sto sdraiato dalla fatica, e quando cade la notte sono così esausto che non riesco nemmeno a parlare.”
Il Rambam (Moshe ben Maimon, 1135-1204), all’epoca medico presso la corte ayyubide di Saladino, scrisse queste parole in una lettera del 1199 inviata al rabbino e traduttore occitano Samuel Ibn Tibbon. Ibn Tibbon stava traducendo la “Guida dei perplessi” dall’originale arabo all’ebraico, e per assolvere meglio questo compito chiese al Rambam se fosse stato possibile un incontro dal vivo al Cairo, per porgli domande e risolvere eventuali dubbi.
Ho voluto citare questo passaggio per ricordare, proprio in questi giorni, il ruolo insostituibile e la dedizione dei medici, e naturalmente di tutto il personale sanitario. Talvolta biasmiati, essi dedicano i propri sforzi, e gran parte della loro esistenza alla cura dell’altro, senza distinzioni di ceto o di nazionalità. Spesso mettendo a rischio la loro stessa salute.

Francesco Moises Bassano

(20 marzo 2020)