Ticketless – Arbasino, Puccini
e la sciura Marina

cavaglionScrivo sull’onda dei ricordi, in fretta senza una ricerca tra libri che non ho a portata di mano e carte che non ritrovo. Vorrei dire qualche cosa in memoria di Alberto Arbasino, scomparso lunedì scorso, sullo speciale rapporto che ebbe con gli ebrei, con Israele e soprattutto contro Craxi nei giorni dell’Achille Lauro. Una stagione e un episodio, quello dell’uccisione di Klinghoffer, che molto lo turbò e lo avrebbe turbato se avesse avuto di vedere come quell’episodio è stato messo in ombra nelle recenti beatificazioni dell’eroe di Sigonella e dell’esule ad Hammamet. Vedo ora, girando in rete, una sua stroncatura di un dramma teatrale messo in scena a Bruxelles nel 1991. Erano gli anni dell’Arbasino politico, parlamentare vicino al partito repubblicano non per militanza convinta, ma per fedeltà alle sue radici, ai fratelli Arbasino, Eligio e Luigi, padre e zio, rispettivamente preside e professore al R. Liceo Severino Grattoni di Voghera, nell’ultimo decennio dell’800 una focolaio mazziniano di rigorosa serietà legato all’udinese Luigi Gasparotto. Negli anni in cui Arbasino era Senatore, poiché mi stavo occupando di quei mazziniani socialisteggianti, mi rivolsi a lui per notizie e ne ebbi una lunga lettera che nel disordine delle mie carte non riesco adesso a trovare: vi era riassunto il perché di quelle simpatie, i ricordi del suo liceo, dei suoi primi alunni, fra cui la figlia di Dino Provenzale, cito purtroppo a memoria, l’ombra delicata di Alessandro Della Seta, direttore della scuola archeologica ad Atene, che avendo sposato la sorella di uno dei personaggi più noti della narrativa arbasiniana, la sciura Marina, si era nascosto nella campagna vicino a Voghera scappando dalla città con abiti elegantissimi, cappottini blu, ma senza scarpe adatte per passeggiare fra i vigneti fangosi. Bisognerebbe dedicare del tempo anche alle riflessioni di Arbasino sulle politiche della memoria, perché in tempi non sospetti, se non ricordo male in Fratelli d’Italia, metteva in guardia contro l’ossessione di un ricordo lacrimoso, ricordandoci che fino a prova contraria siamo il paese di Puccini e chissà mai che cosa sarebbe stato capace di mettere in musica l’autore di Manon dopo Auschwitz.

Alberto Cavaglion