Un’attenzione particolare
Moshè ha appena terminato la costruzione del Tabernacolo e ciò nonostante la Torah ci riferisce che “non può” accederci quando vuole (Esodo, 40; 35). Volere è potere…?
Si crede che una forte volontà possa portare sempre e comunque ai risultati desiderati. In questo mondo il termine “io posso” viene vissuto come la scommessa di ampliare la potenza e il potere. Se la Torah dice: “non puoi!”, non significa che non ho l’opportunità o le capacità. Significa che “non hai il permesso”. In un mondo in cui tutti sono convinti di potere tutto e sempre, la Torah ci insegna che vi sono situazioni in cui dobbiamo rispettare le distanze. Proprio quando qualcosa sembra appartenerci di più ed esserci molto intimo dobbiamo prendere coscienza, come succede a Moshè nel Tabernacolo, che è necessario confrontarsi con tende, cortine, filtri…(e mascherine!) ricordandoci che non possiamo entrare dove e quando vogliamo e che non tutto ciò che si vuole si può fare. L’inizio del libro di Vaykrà (Levitico), che leggiamo in questo Shabàt, viene a insegnarci come ogni comunicazione dovrebbe essere preceduta da una “chiamata”.
“L’Eterno chiamò Moshé e gli parlò…”. Questo non solo per evitare che la comunicazione diventi un messaggio generico e indifferenziato ma, anche e soprattutto, perché la persona chiamata possa sentirsi destinataria di un’attenzione particolare. La situazione di questi giorni ci insegna, tra le tante cose, che resta ancora più gratificante ricevere una chiamata, piuttosto che un messaggio telematico, spesso anonimo e omologato. Da sempre gli ebrei necessitano di Maestri e Talmidìm che si chiamano e non che si fanno chiamare.
Rav Roberto Della Rocca, direttore area Educazione e Cultura UCEI
(26 marzo 2020)