Ce la possiamo fare
Sono passate più di due settimane da quando le disposizioni del nostro Governo hanno costretto noi tutti a vivere fra le mura domestiche.
Ci sembrava impossibile poter sopravvivere a questa costrizione, nell’impossibilità di svolgere le nostre quotidiane attività. Lo stress è stato per tanti motivo di malattie, a volte logoranti e invalidanti, ed essere calati in questa dimensione surreale e fin troppo rilassata sta provocando strani effetti.
Non vi è dubbio che per ogni padre e madre di famiglia il primo pensiero oggi è legato alla precarietà del proprio lavoro, sia per chi è dipendente che ancor più per gli imprenditori. Oggi più che mai questo prevale sulla paura di contrarre questo virus micidiale. Le immagini delle strade sotto casa e delle nostre città completamente vuote creano un senso di angoscia che sarà difficile dimenticare, una volta che tutto sarà finito, anche se chi ha visto le strade di Yerushalaim lo shabbat o quelle di tutta Israele a Kippur forse può ritrovare quell’atmosfera di assoluta magia.
Alcuni giorni fa un amico, oggi direttore di un autorevole quotidiano italiano, mi ha chiamato. Ci siamo a lungo intrattenuti sulle nostre sensazioni, interrogandoci sulla dimensione e il cuore di un ebreo rispetto a quelle dei nostri concittadini. Era chiaro a entrambi come – può sembrare un paradosso – per un ebreo attraversare questo senso di precarietà e paura possa essere meno difficile. Come se avessimo nel nostro dna la Memoria della costrizione dentro quattro mura domestiche, vissuta dai nostri genitori e nonni durante la Shoah, per sfuggire alla furia nazifascista.
Non è nulla paragonabile. Ci mancherebbe.
Se non altro perché i luoghi in cui erano rintanati, non avevano nulla delle comodità della nostra generazione. Dai frigoriferi pieni, ai servizi igienici. Dalle Smart Tv colme di ogni palinsesto e film agli Smartphone che ci consentono di essere connessi anche con le persone più lontane, in ogni angolo del pianeta. Ma quella precarietà e angoscia la sentiamo come già vista e vissuta, grazie al racconto infinito e ripetuto di tante storie degli scampati e sopravvissuti.
Un ebreo sa attraverso il racconto perpetuo di generazione in generazione, Le Dor va Dor. Di fatto è un comando. Lo tishkach, Non dimenticare. Ed è ciò che abbiamo avuto l’opportunità di leggere nel nostro ultimo shabbat prima della quarantena, alla vigilia di Purim, nei nostri Batei ha Keneset.
Ma abbiamo ragionato insieme anche del nostro spirito di adattamento e di come ci si possa e si debba rialzare dopo una batosta come questa. La quotidiana conta minuziosa dei nuovi “positivi”, di coloro che entrano in terapia intensiva, che muoiono e di quelli che guariscono è ogni giorno un pugno allo stomaco, e per risollevarsi ci vuole prima di tutto forza ed Emunà. Spirito.
Solo chi ha fede può accettare tutto questo come un grande insegnamento, che ci viene trasmesso dai nostri Maestri e Rabbanim da sempre. La precarietà di ogni essere umano nel mondo terreno. Un ebreo osservante delle Mitzvot o comunque rispettoso delle tradizioni che ci sono state tramandate, sa bene che ogni uomo deve conoscere i propri limiti nel mondo terreno e sapere che nessun uomo ricco o potente può sfuggire alla precarietà e all’umiltà che ci impongono madre natura. A volte avviene con catastrofi naturali o calamità come terremoti e tsunami, a volte, e questo è uno di quei casi, con malattie contagiose terribili, che non risparmiano nessuno. Dal povero al potente. Ognuno è colpito.
Questo è il senso di precarietà che si abbatte su ognuno di noi per imporci delle riflessioni e perché no, di rimodulare le nostre certezze e priorità. Perché quando usciremo dalle nostre case saremo sicuramente persone diverse e, ne sono certo, in meglio.
La “costrizione” sta rimodulando la capacità di ognuno di sfruttare al meglio tante delle conquiste che la modernità ci ha offerto e che in maniera blanda e spesso per pigrizia non sfruttavamo.
Stiamo capendo che tanti inutili spostamenti, oltre al costo del nostro prezioso tempo, li abbiamo pagati con un maggiore inquinamento. Chi ha avuto la fortuna e il privilegio di continuare a lavorare da casa ha scoperto lo Smart Working, la possibilità di svolgere i compiti per cui è pagato, non solo nel luogo di lavoro ma anche dentro le mura domestiche, grazie alla rete.
Le scuole sono chiuse, e questo ha certamente privato i nostri figli dell’amore e gioia dello stare insieme fra coetanei, ma non sta fermando il programma scolastico grazie ai tanti professori che anche senza aver ricevuto gli strumenti digitali dai propri istituti scolastici hanno usato quelli casalinghi, o le competenze messe a disposizione dai loro alunni e oggi anche noi “adulti” abbiamo scoperto app fantastiche e ci siamo trasferiti sui social per continuare a seguire le lezioni dei nostri Rabbanim.
Non solo coloro che avevano il privilegio di conoscere già questi Maestri, molti li stanno scoprendo oggi. Tanti che il tempo per studiare non lo avevano o altri che vivendo in piccole Comunità non potevano approfittare dei loro insegnamenti.
Oggi tutte le comunità lo hanno capito, UCEI compresa, con questo portale da cui sto scrivendo. Gli autori di libri li seguiamo sui social, con un’iniziativa organizzata dall’assessore alla Cultura della Comunità ebraica di Roma. Persino i teatri non chiudono, li si possono seguire dalle proprie case. Ci sono aziende che grazie a queste tecnologie non hanno smesso di raccogliere ordini, sia per consegne future che per lo shop online. Vi è sicuramente tanto da fare e sono certo che anche la bottega più piccola sta già immaginando come implementare tutto questo grazie anche alla frontiera della logistica e delle consegne a casa. Un mondo che sembrava esclusiva solo di Amazon invece è alla portata di tutti e varrà la pena investirvi anche attraverso le dirigenze comunitarie.
Stiamo scoprendo che i social non sono solo un luogo dominato dai cosiddetti “leoni da tastiera”, tanto aggressivi e violenti, ma anche un fascinoso strumento che ci aiuta a condividere emozioni con tante persone.
Ci dobbiamo prendere l’impegno di cogliere che questa tragedia è anche una opportunità da cui risorgere e credo che in queste settimane i nostri figli stiano apprezzando tante cose che prima sembravano certezze e che invece vanno conquistate come hanno fatto i nostri genitori e nonni, ricostruendo le nostre Comunità dopo la Shoah e noi italiani tutti ricostruendo una nazione distrutta dal nazifascismo. Innalzandola nelle vette d’Europa e del mondo. Se ci sono riusciti loro con una Italia annientata potremo riuscirci anche noi. Forza Italia che ce la possiamo fare.
Non abbiamo altra scelta. Shabbat Shalom.
Riccardo Pacifici, Commendatore al Merito della Repubblica Italiana
(27 marzo 2020)