Resilienza ebraica al tempo del Virus
Resilienza ebraica al tempo del Coronavirus: tante le storie che ci arrivano in redazione. Renato Jona invita ad usare bene questo tempo, nel segno di un nuovo rapporto con gli altri, con lo studio, con gli interessi di qualità troppo spesso accantonati. Giovanni Amati ci ricorda come in futuro ciascuno dovrà fare la sua parte per contribuire alla rinascita del Paese (da un punto di vista economico ma anche di salvaguardia dei principi di uguaglianza e fraternità). Dina Hassan Amati racconta il rito tripolino della bsisa, pietanza sefardita dal grande valore simbolico. Un momento di gioia preservato anche in queste settimane di lontananza e distacco.
(Nell’immagine la Bsisa preparata in casa Amati)
Riflessioni “virali”
Il momento che stiamo vivendo, certamente del tutto inaspettato, è molto particolare da un punto di vista sociale ed è anche a suo modo, forse, interessante. Il blocco obbligatorio di tutte le attività produttive (salvo quelle poche concesse) impostoci dalla legislazione d’emergenza con la conseguente grave crisi economica e soprattutto l’ecatombe di persone alla quale assistiamo, ci fa vivere adesso incredibilmente attoniti ed impotenti.
Di fronte ad un nemico sconosciuto, invisibile, rapido nel colpire, insidioso, siamo preoccupati, disorientati, impreparati, non solo da un punto di vista materiale, ma anche psicologico.
Le reazioni delle persone a questa terribile situazione sono tante e danno la sensazione di costituire lo specchio dell’essenza delle persone stesse.
Come conseguenza del necessario, doveroso, isolamento precauzionale, siamo circondati anche dal diffondersi di numerose preoccupanti sindromi depressive. Ma non sempre: in altri casi, le reazioni sono differenti, riflessive, organizzative, oppure alla ricerca di analogie storiche e conseguenti positivi comportamenti, o addirittura, in casi più rari, si notano proposte di “improbabili” rimedi efficaci.
Ma un’analisi fatta da un diverso punto di vista, ci segnala la nascita anche di un nuovo importante rapporto tra esseri umani, forse già prima esistente, ma probabilmente sopito, disinteressato, avvertito oggi come necessario e incredibilmente terapeutico. La sensazione nuova è che questa “bastonata storica” abbia bloccato il nostro modo di vivere pregresso, che aveva raggiunto un livello quotidiano, parzialmente inconscio, talmente concitato da essere ormai “in fuori giri”, e che ci impediva di apprezzare tante cose già esistenti attorno a noi, che oggi riscopriamo con genuino piacere.
Qualche esempio? Lo sbocciare di un fiore, i colori di un’alba, il comparire misterioso dei merli in primavera, nascosti chissà dove durante l’inverno. Oppure il poter parlare con i figli o con i genitori con calma, senza fretta, anche ascoltando l’interlocutore e ricostruendo così un rapporto che rischiava di diventare sempre più labile, per “esigenze di lavoro” o di impegni “indifferibili”, di interruzioni che causavano dannose distrazioni e, alla fine, pessime abitudini e comunque grave mancanza di tempo.
A proposito del “Tempo”, fino a ieri aveva un valore profondamente diverso.
Eravamo sicuri di conoscerlo, in maniera esatta quanto a sostanza e dimensione, avendolo addirittura razionalizzato, frazionato in giorni, ore e minuti. Invece oggi, inaspettatamente, non possiamo non verificare che scorre più lento, che sia più dilatato e generoso. Albert Einstein ha detto che il tempo è una forma del pensiero. In questi giorni, nell’attuale situazione d’isolamento, l’affermazione dello scienziato non ci sembra più tanto astratta, originale, e bizzarra, perché ne stiamo provando tutti la veridicità, ne constatiamo la conferma ”sul campo”.
L’attuale esperienza che stiamo vivendo viene percepita in modo anche smisuratamente spiazzante e, se è consentito dirlo, dà la sensazione di essere rivoluzionaria: finora abbiamo vissuto, inconsciamente, sulla base delle nostre esperienze e conoscenze. Da pochi giorni queste sembrano tutte sparite e hanno perso valore.
Talvolta al genere umano, quando la vita si deteriora in una certa direzione, càpitano guerre o epidemie che azzerano la situazione, obbligano a frenare, a fare un passo indietro, a riflettere, a ricominciare a vivere e pensare in modo diverso .
In questo momento, fuori delle nostre finestre, ha osservato Scurati, sta finendo un’epoca.
In tal caso i valori dell’esistenza non saranno più gli stessi e l’uomo potrà forse interrogarsi e nuovamente cominciare ad apprezzare valori più sostanziali anzichè essere troppo attratto da quelli formali. Gli ottimisti sperano addiritttura in un maggior rispetto verso, ad esempio, i principi noachidi, i comandamenti, elementi basilari che invece costituiscono il minimo indispensabile per poter distinguere l’uomo dagli animali.
Finora ci siamo orientati con mezzi, conoscenze, strumenti anche troppo sofisticati, e forse abbiamo messo in secondo piano la parte morale. L’interesse materiale, il potere, la furberia, la prevaricazione, l’egoismo – autoalimentandosi – hanno prodotto errate valutazioni e ci hanno portato vicino anche al rischio della distruzione addirittura del nostro pianeta: un suicidio fisico e morale.
Mi è capitato di ascoltare l’osservazione un po’ ironica di qualche credente che ipotizzava: Qualcheduno… ha detto: basta!
Altri, in questo periodo di “arresti domiciliari”, hanno segnalato il ritorno di qualche buon principio – forse un po’ impolverato -, di un prepotente desiderio di interessi intellettuali, di caldi e sani sentimenti; tutti elementi che forse vengono sollecitati anche dall’esigenza di un ritorno allo studio.
Prima di questo periodo di ritiro forzato molti di noi non avevano tempo. Perciò avevano preferito delegare ad altri l’approfondimento di queste tematiche, occupandosi di altro, credendo di vivere ”praticamente”, di restare con…i piedi per terra.
Tuttavia oggi, con i collegamenti via web (come quelli online dell’UCEI), abbiamo a disposizione più tempo per ascoltare lezioni di studiosi e pensatori e talvolta, ascoltandoli, quasi ci stupiamo constatando l’attualità di ciò che i Maestri ci fanno osservare.
Dai non “addetti ai lavori”, la materia, era considerata spesso, “storia passata”, senza alcuna relazione con il presente. Invece alcuni eventi storici, come quelli citati ad esempio nell’Hagadà (racconto) di Pesach di prossima lettura, come le piaghe d’Egitto, danno la sensazione di essere ritornati attuali; assistiamo oggi all’invasione di miliardi di locuste che hanno preso d’assalto l’Africa orientale ed alcuni paesi arabi.
Speriamo di non dover assistere al reiterarsi di altre nove piaghe (anche sotto forme differenti)… Fermiamoci a riflettere, con pazienza, grazie al tempo che questo terribile virus ci sta offrendo; sfruttiamo questo momento per riappropriarci delle nostre qualità intellettive, dei nostri valori e dei nostri affetti – anche se soltanto a distanza – e cerchiamo di uscire da questo periodo, migliori di quando ci siamo inaspettatamente entrati…
Quando sarà finito anche questo “episodio storico”, che per la verità, non possiamo negare, ci stia sconquassando, forse potremo raccontarlo a figli e nipoti, dicendo: io c’ero!
Ma, grazie al virus, forse potremo aggiungere che siamo diventati anche più saggi.
Buon Pesach, Buon PassOver, Buon passaggio oltre!
Renato Jona
Gli ebrei tra crisi sanitarie ed economiche
L’attuale situazione sanitaria sta colpendo tutto il mondo tranne alcune eccezioni.
I paesi interessati si trovano ad affrontare una epidemia che non trova analogie con altri virus conosciuti.
Fare programmi, oggi, su quando finirà, è una esternazione che difficilmente troverà riscontro sin quando un vaccino verrà scoperto.
Oggi molte sono le analogie che trovano riscontro con situazioni trascorse nei secoli.
Un pensiero va a quanto accadeva nel periodo denominato “Crisi del ‘300”.
Il 14esimo secolo ha visto fasi alterne di crescita e depressione: infatti si alternavano periodi con tanta popolazione, tante risorse, tanto cibo, tanto grano, tanto lavoro, tanta ricchezza, ad altri periodi con carestie, morti e cambiamenti climatici. Tutto con sollevazioni popolari, guerre fra vicini e peste. Nel 1347-48 si disse che la peste arrivò con una nave di mercanti provenienti dall’Asia ricca di risorse.
In quel periodo buio la peste nera che si diffonde in Europa è nuovo motivo di persecuzione. Gli ebrei, già accusati dai cristiani di deicidio, sono incolpati di diffondere la malattia avvelenando i pozzi rimanendone essi immuni.
Se la prima accusa è falsa, la seconda nasce da una osservazione probabilmente fondata. Gli ebrei vivono già raccolti e isolati in una unica zona della città (il ghetto) e seguono per motivi religiosi particolari e rigorose norme alimentari ed igieniche.
Gli ebrei venivano aggrediti e massacrati; a Strasburgo vengono bruciati 2000 ebrei. Dal 1348 al 1399 la peste si riaffacciava ogni 15 anni, la vita continuava con gli affari e i profitti.
L’arte non era da meno, si pensi al successivo periodo rinascimentale con Donatello, Botticelli, Raffaello Sanzio, ecc. Come sempre quando ci sono periodi di carestia, alternati a periodi di splendore, gli ebrei ne fanno le spese.
Si pensi che tutta l’Europa era cattolica e la Francia era una potenza dominante, ove anche il papa si trasferì ad Avignone e vi rimase 70 anni. In Spagna il 3 Marzo 1492 ci fu l’espulsione degli ebrei. Il re cattolico di Spagna Ferdinando secondo d’Aragona e Isabella di Castiglia emettono il decreto dell’AlHambra, noto come editto di Granada, con il quale impongono l’espulsione delle comunità ebraiche che non accettano di convertirsi al cristianesimo.
In Portogallo il re Manuel primo nel 1496 ha promulgato l’editto di espulsione di tutti gli ebrei che avevano trovato rifugio dalla cacciata dalla Spagna. Nel regno di Francia, nel 1394, c’era già stata l’espulsione definitiva degli ebrei. Non saranno più ammessi fino il 1789.
Nel 1421, con l’editto di Vienna, ci fu la confisca dei beni con battesimi forzati e la cacciata di tutti gli ebrei dall’Austria. Nel 1495 Carlo terzo di Francia occupa il Regno di Napoli e confisca i beni degli ebrei, molti dei quali erano esuli dalla Spagna. Gli ebrei saranno nuovamente espulsi da Napoli nel 1510 e nel 1541. Ritorneranno a Napoli solo nel 1735.
Gli ebrei sono il capro espiatorio della peste nera. La pandemia, per la quale non esisteva all’epoca alcun rimedio, attraversò in modo molto rapido tutto il continente europeo da sud a nord seminando morte e desolazione.
In molte città di Europa le comunità ebraiche vennero perseguitate e decimate in seguito all’accusa di “untura”. I casi più eclatanti si manifestarono a Barcellona, Strasburgo, Colonia, Stoccarda, ecc. E le vittime si contavano a migliaia.
Alla peste si aggiungeva un viscerale clericalismo antiebraico.
Il 12 luglio 1555 il papa Paolo IV, al secolo Giovanni Pietro Carafa, revocò tutti i diritti concessi dagli ebrei romani ed ordinò l’istituzione del ghetto, sorto 40 anni dopo quello di Venezia. Il 20 settembre 1870, con l’annessione di Roma al Regno d’Italia, terminò il potere temporale dei papi. Il ghetto fu definitivamente abolito e gli ebrei equiparati agli altri cittadini.
Negli anni che vanno dal 1881 in poi, tra fine del 19esimo e l’inizio del 20esimo secolo, molti ebrei abbandonarono i paesi europei per andare negli Stati Uniti d’America.
In Europa gli ebrei dovettero affrontare crisi economiche e sociali molto difficili, sino alle leggi razziali e alle persecuzioni.
Gli ebrei inseguiti hanno dovuto far fronte ad un crescendo di antisemitismo e antisionismo. Le crisi economiche, che vanno dal 1929 sino ad oggi, ci debbono fare riflettere e vigilare e su come la storia si ripete tra epidemie, guerre e tumulti sociali.
Oggi, come nel passato, siamo costretti ad affrontare una crisi sanitaria molto difficile. Una crisi che durerà molto e che tutta probabilità ci farà convivere con lei per molto tempo. Anche con il vaccino, quando questo verrà scoperto, la cautela dovrà essere sovrana e non tutto tornerà come prima. Questa è la prima pandemia dell’era della globalizzazione.
Nelle prossime settimane l’emergenza sanitaria si trasformerà in emergenza economica e questa rischia di trasformarsi in emergenza sociale. Non c’è azienda che possa sopravvivere più di qualche settimana a fatturato zero. Non c’è debito pubblico nazionale, in queste condizioni, in grado di reggere un’onda d’urto di tali dimensioni.
In primis l’economia famigliare di ciascuno di noi dovrà essere riconsiderata rispetto agli anni passati. In economia di guerra, e questa è sicuramente una emergenza che ci richiama alla guerra, saltano tutti gli schemi. I correttivi attuali governativi, da un punto di vista economico, sicuramente non saranno in grado di fermare la crisi economica in atto. È necessario che vengano utilizzati strumenti di politica economica efficaci sia sulla domanda, che sull’offerta. Presto inizierà una depressione economica. In una economia come la nostra, con un debito pubblico elevato e con una crisi con crescita del Pil prossimo allo zero, troverà terreno fertile per sfociare in una crisi sociale dalle ripercussioni spaventose. La mia non vuole essere una previsione catastrofica, ma vuole suonare un campanello d’allarme per tutti noi.
In queste situazioni, purtroppo destinate nel tempo, fioriscono populismi e situazioni che ci ricordano tempi bui. In economia di guerra, accompagnata da emergenza sanitaria, non sono ammesse diserzioni; ciascuno per la sua parte deve dare un contributo alla rinascita, prima dell’economia di sostentamento della propria famiglia poi, più in generale, alla salvaguardia dei principi di uguaglianza e fraternità delle nostre comunità.
Giovanni Amati, Consigliere Federazione Sefardita Italiana
La Bsisa
Come ogni anno, la mia famiglia ha preparato per tradizione centenaria la bsisa. Per noi sefarditi consiste in una polvere di farina di grano ed orzo cui vanno aggiunte varie spezie come il coriandolo e il cumino, mandorle, datteri e zucchero. A seguito della preparazione il tutto va mischiato con olio d’oliva. La bsisa rappresenta la celebrazione della costruzione del primo Bet-Hamikdash (il tabernacolo), inaugurato proprio nel primo giorno del mese di Nissan.
Il 25 marzo scorso, considerata la grave crisi sanitaria che ci ha visti costretti tutti a casa senza poterci riunire in famiglia, l’ho preparata io contornata dai miei figli, dai miei nipoti e da mio marito; non nascondo che è sempre stata mia madre a prepararla per tutti. Stavolta mi sono ritrovata a chiamarla per chiederle la ricetta e prepararla da sola. Mi sono sentita libera, grande, realizzata e felice di provare e condividere con la mia famiglia queste sensazioni.
Anche questa è stata un’occasione forzata, per insegnare ai miei figli e nipoti le tradizioni millenarie che ci accompagno nei secoli.
La cosa più divertente è quando con il dito indice, mentre l’olio d’oliva scende su di esse, tutti girano e assaggiano la bsisa cantando:
“La fettah ia razzak, Ia fettah blà neftach, Ia attai blà mennà Terzekna u rezzek mennà Ia fettah eftah alina Ada am mabruk alina” (“Signore, Tu che apri e dai prosperità, Tu che apri senza chiave, Tu che sai dare con mano generosa, Tu che dai senza chiedere, Concedi il bene a noi Affinché noi a nostra volta Possiamo fare del bene agli altri Spalancaci le porte del bene E sia questo un anno felice per tutti noi. Amen”). Un altro aspetto piacevole e simpatico è la ricerca da parte di tutti degli oggetti, come fedi e chiavi, all’interno della ciotola con la bsisa. Il tutto accompagnato da tanta gioia, simchà e risate.
Spero che il prossimo anno, finita questa situazione, tutto il popolo d’Israele possa recitare questa formula con le proprie famiglie senza limiti.
Dina Hassan Amati
Dina Hassan Amati
(29 marzo 2020)