Controvento – Tutto quello
che non sappiamo

Viviana KasamNonostante la valanga di informazioni da cui siamo quotidianamente travolti, su Covid-19 si sa pochissimo, anche perché gli stessi medici, epidemiologi, virologi hanno opinioni spesso contrastanti. Ho pensato perciò di dedicare la rubrica di oggi a quello che non si sa.
Contagio. Mi è arrivato ieri su WhatsApp un filmato di David Price, pneumologo che fa lo screening dei pazienti da ammettere nell’ospedale WeillCornell di New York, in prima linea nella guerra all’epidemia.
Secondo il medico americano, a parte il contatto ravvicinato con i malati sintomatici, l’unico vero pericolo di contagio sono le proprie mani, che raccolgono i virus depositati nell’ambiente anche da persone asintomatiche e li trasportano al naso, alla bocca, agli occhi con gesti spesso inconsapevoli. La prevenzione più efficace sarebbe quindi quella di disinfettarle maniacalmente (bastano poche gocce di soluzione), ogni volta che si tocca qualcosa, dal pulsante dell’ascensore alla maniglia della porta, al carrello della spesa. Le mascherine, sostiene Price, servono solo a medici, infermieri, personale sanitario a contatto con i malati. Possono essere utili quando si esce, ma solo per evitare di toccarsi il naso e la bocca con le mani, e non è necessaria una mascherina sofisticata, basta anche un foulard. Questo è in palese controtendenza con le misure restrittive che sono state prese da quasi tutti i Paesi, il lock-down mondiale di cui siamo testimoni. Price sostiene di difendersi dal virus, lui che è perennemente tra i contagiati, semplicemente disinfettando continuamente le mani e portando una mascherina quando assiste i malati. Chi ha ragione?
Prevenzione. C’è chi suggerisce di prendere un grammo di vitamina C al giorno; chi una l’acetilcistina, un antiossidante e mucolitico, in funzione preventiva; chi giura sugli effetti positivi di altri antiossidanti e chi sui corroboranti del sistema immunitario, come la papaya liofilizzata o vari tipi di granuli omeopatici. Molti medici consigliano per le persone over 60 il vaccino contro lo pneumococco polmonare che può causare complicanze ulteriori alla polmonite virale: altri sostengono che è inutile, perché siamo di fronte al virus e lo pneumococco è un batterio.
Terapia. Anche qui, opinioni discordi. Ovunque si tende a lasciare i malati a casa finché non presentano sintomi molto gravi, ma c’è il fondato sospetto che sia soprattutto per non peggiorare il già insostenibile sovraccarico ospedaliero. Molti raccomandano alla prima comparsa di febbre di assumere un antipiretico. Ma c’è anche chi ritiene che la febbre sia la manifestazione di una sana reazione difensiva del nostro corpo, e che pertanto non vada soppressa. Pare che buone speranze le diano la clorochina e l’idrossiclorochina, due antimalarici, la seconda utilizzata anche per l’artrite reumatoide, che viene già prescritta in Francia all’apparire dei primi sintomi. Si stanno testando anche il remdesivir, un antivirale che fu sperimentato con risultati insoddisfacenti per l’Ebola, la combinazione di lopinavir e ritonavir, già in commercio per la cura dell’HIV. Il Giappone si scommette sul favipiravir, un antinflluenzale, mentre in Cina è stato autorizzato l’uso del tocilizumab, un anticorpo monoclonale, che è oggetto oggi anche di uno studio in Italia per valutarne l’efficacia. Questa –peraltro incompleta- panoramica è indicativa della mancanza di un indirizzo terapeutico condiviso.
Immunità. Fin dall’inizio, gli scienziati sono stati divisi tra chi ritiene sia giusto isolare tutta la popolazione e chi invece è convinto che se il virus circola si formerà una immunità di gruppo -e bisognerebbe quindi isolare solo le persone a rischio, rendendo molto più semplice ed efficare il monitoraggio, anche preventivo. Boris Johnson, fautore di quest’ultima teoria, ha dovuto fare marcia indietro quando il contagio ha cominciato a mettere in crisi la sanità inglese (e la sua salute). Teoricamente, l’ipotesi dell’immunità di gruppo, sostenuta anche da illustri scienziati israeliani, in primi Hillel Bercovic della Hebrew University di Gerusalemme, avrebbe senso. Il problema è che non si è certi che chi ha superato la malattia diventi immune, e per quanto tempo. E non è calcolabile il costo in vite umane che questa scelta comporterebbe, perché se è vero che muoiono soprattutto le persone anziane e quelle con patologie pregresse, è vero che la malattia colpisce anche i giovani, a volte seriamente –ma non i bambini, non si sa perché.
Vaccino. Circolano notizie di ogni genere, parecchie false. Ci sono almeno 44 vaccini in fase iniziale di sviluppo in vari Paesi. Il più vicino al traguardo sembra essere quello israeliano del Migal Research Institute, dove hanno messo a punto un vaccino per il coronavirus del pollame che, con poche mutazione, sperano di adattare all’uomo. Ma aver pronto un vaccino non vuole dire averlo disponibile: è infatti indispensabile testarlo per almeno un anno per verificare le possibili controindicazioni sul medio periodo. La buona notizia è che in Israele, ma anche altrove, si sta cercando di sveltire le farraginose pratiche burocratiche per iniziare la sperimentazione. Un’altra notizia promettente è l’appello, sposato dalla prestigiosa rivista americana Science, a costituire una piattaforma internazionale di ricerca per il vaccino, secondo l’approccio Big Science. Bisognerà vedere se il bene comune riuscirà a prevalere sugli interessi economici delle aziende farmaceutiche.
Inquinamento/Crisi ambientale. È vero che l’inquinamento atmosferico contribuisce a diffondere il virus? C’è chi sostiene che esso sarebbe trasportato dalle PM, le materie particolate, e per questo sarebbe particolarmente virulento in Lombardia e nell’inquinatissima Cina. Ma è vero anche che si è diffuso in zone meno inquinate, come l’Engadina in Svizzera, a 2.000 metri d’altezza. E Paesi molto inquinati, come l’India, hanno registrato un numero limitato di casi. Altri indicano il disboscamento selvaggio che ha privato del loro habitat i pipistrelli ed altri animali selvatici, come una delle cause della diffusione dei coronavirus. Che l’uomo abbia provato danni incommensurabili all’ambiente è certo: ma che il virus si possa attribuire alla nostra superba scelleratezza ambientale non è provato.
Durata. Quando finirà la pandemia? Nessuno lo sa. I più pessimisti parlano di almeno un anno, con possibile seconda ondata, altrettanto o più letale. Gli ottimisti sperano in una normalizzazione graduale, a partire da maggio. Ma nessuno ha la sfera di cristallo. Il Covid-19 sopravvive finché si può replicare all’interno del corpo umano: è una guerra di sopravvivenza tra noi e lui, e in questo momento noi possiamo solo mantenere una posizione di trincea contro l’aggressore.
Estate. È vero che il caldo mitigherà l’epidemia? E’ un’altra domanda alla quale non c’è risposta. Nei paesi al di sotto dell’equatore, dove l’estate sta per finire, l’incidenza è molto più bassa. Quindi forse il sole con i suoi raggi UV, il cui potere sterilizzante è ben noto, qualche beneficio lo può apportare.
Ripercussioni economiche. Siamo in prossimità di una depressione mondiale tipo quella del 1929? O si riuscirà a far fronte al disastro attraversi incentivi e sussidi? Certamente il quadro è scoraggiante, anche per la mancanza di una politica economica condivisa, soprattutto a livello europeo.
Scenario geopolitico. Che cosa sita muovendo dietro la pandemia? Certamente si stanno creando nuovi scenari sullo scacchiere politico (vedi l’intervista Lucio Caracciolo che abbiamo pubblicato su controvirus.it). Russia, Cina, Stati Uniti si stanno muovendo per trarre il massimo vantaggio strategico dalla crisi e soprattutto indebolire l’Europa, che peraltro sta facendo ben poco per resistere.
Privacy. Salute vs Sicurezza. È il grande interrogativo che molti si pongono. Rischiamo una o più dittature digitali, che si avvarranno delle tecnologie di controllo messe in atto per contenere il diffondersi del virus al fine di sorvegliare a distanza i pensieri e i movimenti cittadini? Preoccupano molti osservatori politici e pensatori i poteri speciali che molti governati hanno avocato a sé. Torneremo a una maggiore libertà dopo l’epidemia, o vivremo in un mondo alla Truman Show?
Informazione. Questo è il tasto più dolente. Le fake news circolano in modo esponenziale (bisognerebbe creare dei diagrammi, come per il virus), forse anche diffuse ad arte da giocatori politici internazionali. Sul web e sui social circola una valanga di informazioni false, a volte con il logo rassicurante dell’Unicef o della Gazzetta Ufficiale. Ho ricevuto qualche giorno fa il video di un sedicente scienziato svizzero, Pascal Borel che spiega che l’unico per debellare la pandemia sarebbe di mettere in quarantena, per 50 giorni, il 90% della popolazione mondiale, eccezion fatta per chi svolge attività indispensabili. Il video ha avuto un milione di visualizzazioni il giorno di pubblicazione, il 23 marzo e 80.000 contatti Facebook. Borel è un ex importatore di ananas, autodidatta, sostiene. Ma appare convincente, così come appaiono convincenti (e vengono condivisi da persone di tutto rispetto) video complottisti che assicurano che il virus è stato geneticamente mutato in laboratorio dai cinesi, o viceversa dagli americani. Quanti sanno che i virus mutati sono facilmente riconoscibili con un potente microscopio, e questo non lo è?
Ne usciremo migliori? Sono parecchi coloro che sperano che la pandemia sia una lezione per l’umanità e che sapremo farne tesoro, riducendo turismo di massa, consumismo sfrenato, sfruttamento selvaggio della natura, inquinamento dei mari, capitalismo che ha creato una forbice sempre più ampia tra i superricchi e i miliardi di poveri. Il maitre-à-penser francese Bernard Henri Levy se la ride: se non crolla l’economia mondiale, tutto tornerà come prima. La risposta la lascio a voi.

Viviana Kasam

(30 marzo 2020)