Il messaggio dei rabbini italiani
“Pesach in videoconferenza, non è una strada ammessa”
L’Assemblea dei Rabbini d’Italia considera una soluzione non ammissibile l’idea di autorizzare l’utilizzo di piattaforme tecnologiche durante il Seder di Pesach, così da riavvicinare virtualmente famiglie separate dall’emergenza sanitaria. Una comunicazione dell’Ari afferma “che non sia questa la strada da seguire”. Sia per questioni strettamente halakhiche, viene precisato, ma anche per un metodo ritenuto di per sé non adeguato.
L’invito è ad attingere intensamente ai valori della festa così da trovare “dei punti di riferimento che ci indichino il percorso di vita in questa difficile situazione”. L’idea è che questo sia possibile, sottolineano i rabbini italiani, “anche sperimentando la condizione di separazione e di distanza fisica fra le persone più care”.
Si cita al riguardo un passo della Haggadah, dove a proposito del Seder è scritto: “Ognuno deve sentire come se egli stesso stesse vivendo l’uscita dall’Egitto”.
Il messaggio, per l’Ari, è che nella notte di Pesach “le distanze del tempo e dello spazio quasi si annullano, non siamo chiusi e soli nelle nostre abitazioni, ma ci troviamo insieme ai nostri padri in Egitto, nella preparazione e nell’attesa della liberazione; siamo insieme ai nostri fratelli, di ogni paese e di tutti i tempi, che hanno rivissuto e rivivono questa stessa esperienza, siamo pervasi da questa dimensione che sospende le coordinate di tempo e di spazio, e siamo – non con l’imitazione del contatto prodotto dai mezzi tecnologici ma con il sentimento più intenso che possiamo ritrovare dentro di noi, andando fino al fondo del significato del Seder – ancora più intensamente vicini ai nostri cari, ai figli, ai nipoti, alle persone amiche che, nella stessa sera straordinaria di Pesach, condividono la nostra esperienza”.
Afferma l’Ari: “Stanno circolando in questi giorni notizie incontrollate su permessi dati da alcuni rabbini e su questo dobbiamo fare chiarezza, anche perché le informazioni sono state deformate”. Due le domande cui si cerca di dare una risposta. Questa è la prima: “Come può una persona isolata, che non sa come fare il Seder, adempiere al precetto se non ha qualcuno che lo guidi?”. I rabbini italiani ricordano in questa nota che sono disponibili “libri stampati di tutti i tipi che spiegano come si fa il Seder, con traduzione italiana e anche con traslitterazione dell’ebraico”, ma anche informazioni reperibili in rete. Si annuncia inoltre la prossima pubblicazione di una Haggadà abbreviata e traslitterata, in formato Pdf.
Altro tema è quello della solitudine e del disagio che ne può derivare. “Qualcuno – scrive l’Ari – ha proposto di risolvere il problema con un collegamento digitale, tipo zoom, e si è sparsa la notizia che autorevoli rabbini l’abbiano permesso. La storia è differente”. Per l’Ari bisogna distinguere tra due situazioni. “La prima – si legge – è quella di un forte disagio psichico che può determinare situazioni pericolose per l’equilibrio e la salute. In questo caso, come in ogni altro problema di salute, si consentono trasgressioni previa consultazione con gli esperti medici e rabbinici, e non c’è in questo alcuna novità clamorosa. Ma i casi particolari non vanno pubblicati sui media, bensì discussi discretamente con le persone competenti”.
“Diversa – si aggiunge – è la situazione in cui c’è tristezza. È una brutta cosa, la tristezza, tanto più nel giorno di festa più importante. Ma qua entrano in ballo gli altri valori. L’osservanza delle regole di mo’èd è anch’essa un valore, in questo caso prioritario. Se festeggiare significa trasgredire, non c’è più festa, è un’altra cosa”.
Clicca qui per scaricare la comunicazione dell’Ari
Un Sèder insieme ma isolati
Premessa
Ma nishtanà ha-Pèsach hazè…
Parafrasando la ben nota frase introduttiva del testo che pone le domande sullo svolgimento del Sèder, possiamo ben dire che ci troviamo quest’anno a porre invece una domanda difficile e inedita, alla quale non siamo preparati a rispondere: “Com’è diverso questo Pèsach da tutti gli altri anni?”.
Questa festa racchiude tutti i principi e i valori fondamentali dell’ebraismo, esplicati attraverso le norme precise che la Torà ci ha indicato e che i nostri Maestri hanno definito nei particolari. Il Sèder è l’occasione per ritrovarsi insieme in famiglia con le persone più care, fino ad assumere la dimensione più ampia di riunioni comunitarie, che raccolgono e coinvolgono anche coloro che sono solitamente più distanti dalla vita ebraica. Persino nei momenti più tragici della nostra storia, come nei Sedarìm clandestini in Spagna all’epoca dell’inquisizione e nei tempi oscuri della Shoà, il festeggiare Pèsach insieme alla famiglia per celebrare il ricordo dell’uscita dall’Egitto dava a ciascuno il coraggio e la determinazione per manifestare la fede più alta, pronta a sfidare e ad affrontare consapevolmente i momenti più difficili.
Quest’anno ci troviamo di fronte ad una situazione del tutto nuova, non solo la maggior parte delle famiglie saranno divise – genitori e nonni lontani dai figli e nipoti – ma per molti il Sèder si svolgerà in condizione di solitudine. Questa è una scelta obbligata perché il nemico è quanto mai insidioso e invisibile e perché ciascuno di noi può essere inconsapevolmente fonte di grave pericolo per altre persone.
In questa difficile prospettiva, c’è chi ha proposto di ovviare alla distanza fisica attraverso il ricorso all’utilizzo di collegamenti informatici durante lo svolgimento del Sèder; riteniamo che non sia questa la strada da seguire, non solo per i motivi di Halakhà, come qui di seguito verrà spiegato, ma perché, proprio per rimanere in una dimensione ebraica più autentica, non è questo il modo per affrontare il disagio che questa situazione ci causa e che tutti noi ben comprendiamo e riconosciamo.
Nella condizione di smarrimento in cui ci troviamo è essenziale che attingiamo intensamente ai valori della festa per trovare dei punti di riferimento che ci indichino il percorso di vita in questa difficile situazione. Pensiamo che questo sia possibile, anche sperimentando la condizione di separazione e di distanza fisica fra le persone più care.
Uno dei punti più significativi della Haggadà di Pèsach ci dice che: “Ognuno – nello svolgimento del Sèder – deve sentire come se egli stesso stesse vivendo l’uscita dall’Egitto”. Il messaggio è che nella notte di Pèsach le distanze del tempo e dello spazio quasi si annullano, non siamo chiusi e soli nelle nostre abitazioni, ma ci troviamo insieme ai nostri padri in Egitto, nella preparazione e nell’attesa della liberazione; siamo insieme ai nostri fratelli, di ogni paese e di tutti i tempi, che hanno rivissuto e rivivono questa stessa esperienza, siamo pervasi da questa dimensione che sospende le coordinate di tempo e di spazio, e siamo – non con l’imitazione del contatto prodotto dai mezzi tecnologici ma con il sentimento più intenso che possiamo ritrovare dentro di noi, andando fino al fondo del significato del Seder – ancora più intensamente vicini ai nostri cari, ai figli, ai nipoti, alle persone amiche che, nella stessa sera straordinaria di Pèsach, condividono la nostra esperienza.
Normativa
Fatta questa premessa desideriamo aggiungere anche qualche spiegazione di carattere normativo. Nella vita religiosa ebraica bisogna osservare dei precetti (mitzvòt) e dei divieti. Può succedere che si verifichino dei conflitti tra obblighi e divieti: ad esempio l’obbligo di salvare la salute e la vita può entrare in conflitto con alcuni divieti, come quelli alimentari o dello Shabbat. Come ci si deve comportare in questi casi? Ogni regola ha la sua importanza, e la decisione viene presa considerando che cosa è prioritario. Per salvare una vita umana si profana lo Shabbàt. Ma non si scrive di Shabbàt un Sèfer Torà, per quanto sacro e importante sia. È quello che i Maestri chiamano mitzvà habaà ba’averà, una mitzvà eseguita facendo una trasgressione. Dipende da quale mitzvà e da quale trasgressione.
Pèsach, con tutte le sue regole, quest’anno pone delle questioni molto speciali, nella situazione di isolamento imposto a tutti. Stanno circolando in questi giorni notizie incontrollate su permessi dati da alcuni rabbini e su questo dobbiamo fare chiarezza, anche perché le informazioni sono state deformate.
Si pongono, tra le altre, due domande principali.
La prima: come può una persona isolata, che non sa come fare il Seder, adempiere al precetto se non ha qualcuno che lo guidi? La risposta c’è: sono disponibili libri stampati di tutti i tipi che spiegano come si fa il Sèder, con traduzione italiana e anche con traslitterazione dell’ebraico. Oltre a questo circolano su internet spiegazioni e dimostrazioni pratiche. Nel sito di torah.it si trovano tutti i testi e le spiegazioni desiderabili in italiano. Ovviamente tutti i testi vanno letti o ascoltati dalla rete prima che entri mo’èd. Pubblicheremo inoltre una Haggadà abbreviata e traslitterata, in formato Pdf, a disposizione di chiunque lo voglia.
La seconda: la solitudine può creare tristezza e difficoltà psicologiche, specialmente in un momento in cui si sta tutti insieme con parenti, anziani e giovani, e amici cari. Qualcuno ha proposto di risolvere il problema con un collegamento digitale, tipo zoom, e si è sparsa la notizia che autorevoli rabbini l’abbiano permesso. La storia è differente. Bisogna distinguere bene tra due situazioni. La prima è quella di un forte disagio psichico che può determinare situazioni pericolose per l’equilibrio e la salute. In questo caso, come in ogni altro problema di salute, si consentono trasgressioni previa consultazione con gli esperti medici e rabbinici, e non c’è in questo alcuna novità clamorosa. Ma i casi particolari non vanno pubblicati sui media, bensì discussi discretamente con le persone competenti. Diversa è la situazione in cui c’è tristezza. È una brutta cosa, la tristezza, tanto più nel giorno di festa più importante. Ma qua entrano in ballo gli altri valori. L’osservanza delle regole di mo’èd è anch’essa un valore, in questo caso prioritario. Se festeggiare significa trasgredire, non c’è più festa, è un’altra cosa.
Quest’anno siamo qui, chiusi in casa, l’anno prossimo liberi, tutti insieme, possibilmente in terra d’Israele.
(31 marzo 2020)