Un interrogativo Unorthodox

emanuele calòDeborah Feldman (n. 1986) pubblica, nel 2012, il romanzo autobiografico Unorthodox, The Scandalous Rejection of my Hasidic Roots (Simon & Schuster, in italiano da Abendstern); nel 2020 Netflix manda in onda un suo adattamento, scandito in quattro episodi, ad opera di una squadra guidata da Maria Schrader.
Nella serie televisiva, la protagonista Esther “Esty” Shapiro è rappresentata da Shira Haas, un’attrice israeliana già nota per la serie Shtisel. La serie è scorrevole, gli attori sono bravi ed il tutto sembra ai migliori livelli di Netflix.
La narrazione Netflix si basa sulla fuga di una ragazza dalla Comunità Hasidica Satmar (il nome deriva dalla città romena da cui traggono le origini), la protagonista fugge sia dal marito – in qualche modo controllato dalla propria madre, la quale interferisce anche nella loro vita intima – sia da un ambiente oppressivo che le nega qualsiasi spazio. Come nel libro della Feldman, anche nella serie televisiva si narra delle difficoltà fisiche incontrate per consumare il matrimonio, scandite dalle pesanti interferenze della suocera.
Il termine “fuga” implica necessariamente l’esistenza di una reclusione forzata e, in ultima analisi, di una vera e propria prigione. Così non è, però, nella serie Netflix, dove una ragazza sposata e incinta, scappa in Germania, in quanto non annuncia al marito il distacco e cerca di disperdere le tracce del suo allontanamento. Ne consegue che, pur non trattandosi di una reclusione, vi erano in ogni caso i vincoli che possono accomunare Satmar, per come viene descritta, alle costrizioni riscontrabili nelle sette, dove vi sono dei capi carismatici che ritroviamo anche in questa Comunità hasidica.
Anche nelle sette si è teoricamente liberi di andarsene in ogni momento, ma i rapporti interni, non certo improntati alla massima libertà, possono costituire una barriera invisibile. I rapporti con le fattispecie che configurano degli illeciti penali non depongono, però, in favore dell’illegittimità della fattispecie. In Italia, nel 1981, fu dichiarata l’incostituzionalità dell’art 603 del codice penale, che riguardava il plagio. Nel caso delle sette, lo psychological kidnapping è spesso assente e, in ogni caso, non è un crimine. Tuttavia, nella serie di Netflix, la protagonista è vittima a Berlino di un sequestro di persona, mediante la costrizione a salire su un furgone per un breve tragitto, per poi farla scendere poco dopo per un colloquio durante il quale le si lascia una pistola, da usare nel caso che decidesse di suicidarsi. È finzione, certamente, ma nondimeno si delinea la possibilità che ciò possa accadere.
Nel libro della Feldman vi è una chiara traccia di costrizione: ”Lately I’ve been thinking about leaving Eli, leaving this life I’ve always lived. What if I want to stop being Hasidic one day? I will have to leave the baby behind too. I couldn’t bear to love him and then leave him”. Questa costrizione riappare nella serie di Netflix, attraverso il racconto della madre della protagonista, già membro di Satmar, privata della potestà in tribunale. Ciò è sicuramente lecito, anche se rimane la sensazione di una sproporzione di forze nel patrocinio.
Nella realtà, la Comunità Satmar, forte attualmente di ben sessantamila studenti, era finita in Tribunale, in sede amministrativa, per una vicenda concernente la struttura del sistema scolastico, e la vicenda era stata commentata in Stolzenberg, Nomi Maya, Board of Education of Kiryas Joel Village School District v. Grumet: A Religious Group’s Quest for its Own Public School (May 26, 2011). Law and Religion; cases in context, Leslie Griffin, ed., Aspen, 2010; USC Law Legal Studies Paper No. 09-30. Nell’articolo citato si dice che i “Satmars” sono membri di un ramo del giudaismo Hasidico, trapiantato a New York dalla Romania alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, dove si sarebbero isolati per evitare di esporsi alla cultura secolare.
Come noto, il movimento Satmar è stato creato dal Rabbino Joel Teitelbaum nel 1906; per salvare Teitelbaum dal nazismo, fu mandato dai fedeli nel c.d. Treno di Kastner, dal nome di Rudolf Kastner, il quale strinse un accordo con Adolf Eichmann per far fuggire 1600 ebrei da Budapest in Svizzera, in cambio di un riscatto. Dopo la guerra, Kastner subì un processo in Israele e, alla vigilia dell’emanazione di una sentenza, finì assassinato, vicenda sulla quale vi è un’abbondante bibliografia. Quanto a Teitelbaum, la sua partenza nel Treno di Kastner, al cospetto della triste fine di molti dei suoi Hasidim, non è stata estranea al fallimento del suo tentativo di insediarsi in Israele nel 1946. Nel dicembre scorso, il Rebbe Zalmar Teitelbaum andò in Israele a compiere delle elargizioni fra gli Haredim, per rendere loro meno dipendenti dallo Stato, essendo i Satmar fieramente antisionisti, le quali elargizioni stridono con lo stato di povertà di gran parte dei suoi accoliti (S. Heilman, Why the Most Fiercely anti-Zionist Rabbi in the World Just Visited Israel, Haaretz,1/12/2019).
Nel libro della Feldman, a pagina 100, lei si decide: ““I don’t want to be a Hasid anymore,” I announce suddenly, after we leave the shop”, motivando tale scelta sulla necessità di non condannare il figlio ad una vita di “smallness and limitation”, nella quale lei e il figlio sarebbero intrappolati, non avendo peraltro dove andare ed essendo priva dei mezzi per imprimere una svolta alle loro vite. Con le debite differenze, anche la serie televisiva riflette queste problematiche.
Quale può essere il rischio di questa serie Netflix? Presto detto: confondere la fuga da Satmar con la fuga dall’ebraismo, due aspetti che la stessa Feldman ha tenuto ben distinti (v. Julie Wiener, Unapologetically Unorthodox, The New York Jewish Week, 9 febbraio 2012). Tuttavia, ciò che disse Ilya Ehrenburg sul socialismo (“ha dato a tutti il diritto all’eguaglianza, ma non all’intelligenza”) finisce per avere un valore ben più vasto.

Emanuele Calò, giurista