Ticketless – Il senso dell’arca
Il breve scritto di Adriano Sofri sul Foglio del 21 marzo scorso (“L’arca di Noé ai nostri giorni”) mi ha fatto venire in mente Parma, città dove sono stato poche settimane prima che esplodesse il contagio. Un affresco del Duomo rappresenta i pezzi necessari per costruirsi un’arca. Nemmeno quelli di Ikea sarebbero capaci di inventarsi un kit così comprensibile anche agli inetti. Un’arca domestica me la costruirei da solo, se non avessi gettato la scatola del piccolo falegname che mi avevano regalato i miei genitori. Montale diceva che gli ebrei per loro fortuna posseggono “il senso dell’arca”, che non assomiglia per nulla a quello che gli inglesi chiamano home. Quello dell’arca è un simbolo che mi tocca da vicino: anni fa ho scritto un libro, partendo dalla constatazione che Montale fa a proposito del “senso dell’arca”. Se fosse vivo oggi il poeta ci inviterebbe a ribellarsi leggendo sui giornali: Stay at home. State nell’arca, perbacco! A proposito di senso dell’arca, l’onda dei ricordi mi ha fatto venire in mente in questi giorni il discorso di Rosselli al congresso di Livorno nel 1924. Avevo sempre trovato vago quel suo appello al “senso religioso della famiglia” insito nell’ebraismo. Sofri dice che finito il diluvio tutto ritornerà come prima. Io spero di no, il senso dell’arca ha da sé il monito di Rosselli.
Post scriptum: via mail un caro amico mi segnala questa citazione da una lettera di Proust a Willie Heath (Plaisirs et les jours). La lascio in francese. Sull’arca serve una colonna sonora, nulla di meglio che il francese di Proust: “Quand j’étais tout enfant, le sort d’aucun personnage de l’histoire sainte ne me semblait aussi misérable que celui de Noé, à cause du déluge qui le tint enfermé dans l’arche pendant quarante jours. Plus tard, je fus souvent malade, et pendant de longs jours je dus rester aussi dans l’’arche’. Je compris alors que jamais Noé ne put si bien voir le monde que de l’arche, malgré qu’elle fût close et qu’il fît nuit sur la terre”. Senza la pretesa di essere Proust, e tanto meno Noè, l’augurio mio e del mio amico è di rivederci presto fuori dell’arca.
Alberto Cavaglion
(1 aprile 2020)