La disputa sull’Europa
La disputa che periodicamente si riaccende tra “europeisti” e “sovranisti” a proposito del ruolo e dei poteri dell’Europa, intesa come soggetto politico, è qualcosa di surreale perché avviene a proposito di qualcosa che non esiste, di una irrealtà: gli “europeisti” difendono un’unità politica europea che non si è mai costituita, i sovranisti rivendicano una sovranità degli Stati alla quale gli Stati stessi non hanno mai rinunciato. Qualcuno vuole nobilitare le attuali dispute con un richiamo al dibattito che si sviluppò negli Stati Uniti d’America appena costituiti, quando si trattò di ratificare la nuova Costituzione federale da parte dei singoli Stati. Ma è un richiamo puramente retorico perché nessuno in questa fase storica ha posto seriamente in discussione il principio della sovranità degli Stati che compongono la cosiddetta Unione Europea: cosiddetta, perché nessuno ha mai definito con chiarezza la natura giuridica, di diritto internazionale, di un soggetto che resta fondamentalmente un insieme di Stati sovrani legati da trattati. Trattati che consentono, senza lacerazioni troppo traumatiche, anche l’uscita dall’Unione stessa come si è visto nel caso della Gran Bretagna: si pensi, al confronto, quale dramma sanguinoso produsse la secessione degli Stati del Sud che costituirono nel 1861 gli Stati Confederati d’America.
In realtà c’è stato un momento nella storia d’Europa nel quale era possibile costituire una vera unione politica europea: alla fine della II guerra mondiale l’Europa non era soltanto un cumulo di rovine, era un territorio nel quale la tradizionale sovranità degli Stati o era venuta meno oppure si era fortemente indebolita. La divisione dell’Europa tra un’area dominata dai sovietici e una fortemente dipendente dagli Stati Uniti d’America offrì l’opportunità di ripensare a principi che fino allora erano sembrati intangibili, come quello della sovranità nazionale.
Principio che era venuto meno nella realtà prima ancora che nella riflessione del pensiero politico; la Germania non era solo divisa: in entrambi gli Stati che si erano formati ad Est e ad Ovest la sovranità nazionale o era inesistente oppure fortemente limitata; e in una certa misura questo si può dire anche per l’Italia. La stessa Francia – che nell’illusione gollista figurava tra gli Stati vincitori della guerra – nella coscienza dei suoi politici più accorti sapeva che il suo impero era in procinto di dissolversi e con esso ogni pretesa di sedere da pari a pari accanto agli Stati Uniti e all’Unione Sovietica. Soprattutto, la guerra appena conclusa aveva lasciato nelle classi dirigenti (ma anche nel popolo) la consapevolezza che il conflitto che aveva opposto per secoli Francia e Germania non aveva più ragione di essere e che sulle rovine di quel conflitto poteva essere costruito qualcosa di nuovo.
Nacque così nel dopoguerra il disegno di un’unificazione politica dell’Europa, almeno di quella occidentale, che naturalmente teneva conto della divisione del mondo in due blocchi, ma che comunque prefigurava un rapporto del tutto nuovo tra gli Stati che per secoli si erano combattuti per l’egemonia.
In un primo momento la precedenza fu data al problema più urgente, quello di difendere l’Europa occidentale dal pericolo reale dell’estensione a ovest del già opprimente dominio sovietico che si era imposto ad est; ma, ridimensionato questo pericolo con la creazione del Patto Atlantico a guida americana, un’America detentrice dell’arma atomica, le classi dirigenti europee poterono seriamente porre mano al tentativo di andare oltre il tradizionale assetto fondato sull’equilibrio tra Stati e di tentare una strada nuova, quella appunto della costruzione di una sovranità europea. Che si trattasse di un’operazione politica era ben chiaro nella mente di quelli che poi furono chiamati i padri dell’Europa: i Monnet, gli Schuman, i De Gasperi, gli Adenauer, gli Spaak; e infatti il primo reale passo che mossero in tale direzione fu un passo politico, la costituzione della Comunità Europea di Difesa, il cui trattato fu firmato il 27 maggio 1952. La CED implicava la formazione di un esercito europeo: quale atto poteva essere politicamente più impegnativo – all’indomani della II guerra mondiale – del superamento del più classico degli strumenti della sovranità statale, l’esercito nazionale?
Ma gli Stati sovrani esistevano ancora: e il loro consenso era decisivo anche per porre mano al loro progressivo deperimento. Fu così che il 27 maggio 1954 all’Assemblea Nazionale francese si consumò l’atto che avrebbe capovolto il destino della storia d’Europa: nella votazione per la ratifica del trattato istitutivo della CED si formò una anomala maggioranza formata da gollisti e da comunisti, uniti solo dal disegno negativo di impedire la crescita di una sovranità europea, e così il Trattato non fu ratificato. Il voto francese rappresentò quindi non solo l’affossamento della CED ma anche di qualsiasi disegno volto a creare in Europa una realtà politica sovranazionale.
Fallito già al suo avvio il disegno di una unificazione politica, fu giocoforza ripiegare su una unificazione economica, o meglio, sulla rimozione progressiva dei limiti alla circolazione degli uomini e delle merci, eredità del protezionismo che già dalla fine dell’800 aveva preso il posto del precedente liberismo. Si era già costituita (18 aprile 1951) la Comunità del carbone e dell’acciaio (CECA), che comunque rispondeva ancora alla logica prevalente nell’immediato dopoguerra. Il passo decisivo nella nuova direzione fu compiuto con i Trattati di Roma (25 marzo 1957), che istituirono la Comunità Economica Europea: al di là della retorica che accompagnò i Trattati, le parole erano chiare: si trattava di creare un mercato comune, non di prefigurare un’autorità sovranazionale.
Non seguiremo tutti gli altri passaggi che, in una linea di continuità, hanno segnato il cammino della politica degli Stati dell’Europa occidentale. Il progressivo allargamento di quella che, con il trattato di Maastricht (1992), fu chiamata Comunità Europea non nascose il fatto che il modello iniziale non è stato mai seriamente messo in discussione. Sarebbe un errore sottovalutare o addirittura disprezzare atti come il Trattato di Maastricht o quello di Lisbona (2007), con il quale fu di nuovo cambiato il nome in Unione Europea; ma in realtà furono prevalenti gli atti di natura simbolica, cioè retorica – come l’istituzione di un Parlamento europeo privo di vero potere decisionale – rispetto a quelli provvisti di autentico significato politico.
Forse a uno solo di questi atti si può riconoscere tale significato, l’istituzione dell’euro, e non a caso su quella decisione si determinò una frattura tra gli Stati che componevano la Comunità europea. La nascita dell’euro fu un autentico atto politico perché il potere di battere moneta è un attributo fondamentale della sovranità statale, e infatti si accese di nuovo la speranza che all’istituzione dell’euro sarebbero seguiti inevitabilmente altri atti impegnativi nel campo della politica fiscale e più in generale di tutta la politica economica. Così non fu e l’euro è rimasto una sorta di isolotto solitario mentre in tutti gli altri campi gli Stati si sono tenuta ben stretta la loro sovranità.
Poiché, come si è detto, gli atti di natura retorica hanno abbondato nei decenni che sono alle nostre spalle, fra questi merita segnalare l’istituzione della figura dell’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell’Unione (PESC). Al di là delle caratteristiche delle persone che hanno ricoperto il ruolo, gli anni passati hanno messo in evidenza quanto di retorico ci fosse nella creazione di questa figura: la gestione della politica estera – altro fondamentale attributo della sovranità – è rimasta saldamente in mano agli Stati che hanno costantemente proceduto in ordine sparso ricercando in misura crescente accordi e alleanze al di fuori dell’area dell’Unione.
Tornando all’inizio appaiono perciò di scarso significato le dispute tra “europeisti” e “sovranisti” che si accapigliano intorno a una irrealtà. Per cambiare il quadro, occorrerebbe un’iniziativa politica di cui oggi non si intravedono né i presupposti né gli eventuali protagonisti. Ma se si vuole per un momento sollevarci dalle miserie del presente e immaginare un futuro diverso, è certo che un’eventuale ripresa di un autentico disegno europeista non potrebbe non avere come asse il Reno: solo da un’iniziativa politica franco-tedesca potrebbe venire la spinta per la costituzione di un’autentica Federazione europea che, naturalmente, potrebbe comprendere soltanto – almeno in una prima fase – una parte degli Stati che compongono l’attuale Unione europea.
Valentino Baldacci