La mitzvà della vita

sermonetaL’espressione “zaw” con cui inizia la nostra parashà significa “ordina”; in realtà, i commentatori della Torà ci insegnano che, ogni volta in cui si parla di “ordinare”, la Torà vuole intendere di “apprestarsi a fare qualcosa”. Ogni mitzvà va fatta in modo solerte cercando di dare la precedenza ad essa, rispetto alle altre esigenze della nostra vita.
Questo Shabbat, che è particolare nel nostro calendario, perché è Shabbat ha gadol – il sabato che precede la festa di Pesach – dove ogni ebreo ha il dovere di affrettarsi a fare tutte quelle mitzvot inerenti Pesach e la sua preparazione, è invece diverso dagli altri anni. La più grande mitzvà che ci viene comandata dalla Torà è la vita: “Wa Chai ba hem”. Quindi, quest’anno, proprio per preservarci il più possibile da qualsiasi cosa possa mettere in pericolo la nostra vita, abbiamo il dovere di essere solerti nello stare in casa chiusi, proprio come leggeremo nel brano di Torà del primo giorno di Pesach:
“E voi non uscirete nessuno dalla porta di casa fino alla mattina” (Esodo 12, v. 22) Possiamo osservare tutte le regole che, sia la Torà che la Halakhà, ci comandano riguardo la festa di Pesach – in modo solerte – stando chiusi in casa, augurandoci proprio come ci si augura nella haggadà che leggeremo mercoledì e giovedì sera: “Quest’anno qui schiavi, l’anno prossimo liberi”. Possibilmente nella terra di Israele.

Rav Alberto Sermoneta, rabbino capo di Bologna

(3 aprile 2020)