Viktor, Vittoria
Ringraziamo Viktor Orbán di averci svelato i suoi intendimenti, peraltro prevedibili da molto tempo: prima pallido ed opportunista liberale, infine mediocre despota imbolsito. Una linea di continuità, a ben pensarci: autoritarismo-falso pluralismo-dispotismo. Afferma un’oramai proverbiale autrice (anche un poco inflazionata, quanto meno nelle citazioni, ma la licenza ce la prendiamo lo stesso, in questo caso), Hannah Arendt, nel suo Verità e politica che: “Nessuno ha mai dubitato del fatto che verità e politica siano in rapporti piuttosto cattivi l’una con l’altra e nessuno, che io sappia, ha mai annoverato la sincerità tra le virtù politiche. Le menzogne sono sempre state considerate dei necessari e legittimi strumenti non solo del mestiere del politico o del demagogo, ma anche di quello dello statista”. Più che cinica sarebbe il caso di riconoscere che rimane realistica, al limite dell’impietoso. Poco più in là, nel medesimo testo, aggiunge: “Probabilmente nessuna epoca passata ha tollerato tante opinioni diverse su questioni religiose o filosofiche; la verità di fatto, però, qualora capiti che si opponga al profitto o al piacere di un dato gruppo, è accolta oggi con un’ostilità maggiore che in passato”. Forse, per ragionare sulla cosiddetta “post-verità” (qualora esista), sulla Misinformation e quant’altro partendo da qualche riscontro storico, più che pensare che l’età che stiamo vivendo sia di per sé (e in sé) eccezionale, magari nel senso più deteriore dell’espressione, sarebbe bene riprendere in mano la filosofa germano-statunitense, insieme ad un’altra figura del pensiero contemporaneo, quando quest’ultimo afferma che: “Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza”. Le bufale esistono soprattutto perché si vuole credere ad esse. Sono come una specie di verità parallela, una sorta di risarcimento temporaneo, un sogno possibile perché desiderato che si trasforma, ben presto, in incubo. Non è vero che la realtà, ossia anche la politica (cosa diversa dalla “verità” come tale), sia necessariamente inconoscibile, sommersi come saremmo da un eccesso di sollecitazioni. Semmai è lo sguardo che vogliamo rivolgere ad essa che muta, risultandoci spesso insostenibile. Abbiamo pertanto bisogno sempre più spesso di trovare un qualche rifugio consolatorio. La pandemia è, ad esempio, un prevedibile esempio di come ci si possa lasciare manipolare. Basta che quella cosa che chiamiamo “potere” si presenti con un duplice volto, quello minaccioso del decisionismo inclemente e quello piacente dell’accudimento di società che chiedono solo ed esclusivamente protezione. Alla politica come responsabilità e partecipazione si sostituisce il padrinaggio, come se la società fosse un grande clan. Ci fingiamo quindi “ignoranti” quando ci occorre di trascurare ciò che ci angoscia, impedendoci di vedere oltre un orizzonte che non sia quello dei timori senza risarcimento. Salvo poi rischiare un brusco risveglio. Se non affronti la realtà sarà lei a imporsi a te medesimo. Più prima che poi.
Claudio Vercelli
(5 aprile 2020)