Padri e figli
Poveri Padri!
Sotto Pesach, le madri si danno da fare per la casheruth della casa. Puliscono, riordinano, separano, casherizzano, preparano, cucinano, imbandiscono. Sono loro che mandano avanti la tradizione, e sono loro che tengono in piedi l’edificio. Non c’è possibilità di smentita. Il padre continua a dedicarsi alle sue cose fingendosi spesso indaffaratissimo pur di non dare una mano in sala da pranzo o in cucina. E non è che la cosa passi inosservata. Con una goccia di sadismo e non poca acrimonia la famiglia tutta (specie i figli) fa di tutto per ricordargli a ogni piè sospinto il suo disinteresse, la sua inerzia, la sua assenza, e la sua indolenza. Tutto vero, naturalmente. Nessuna giustificazione.
Ci si illude, tuttavia, noi padri, che il senso di colpa tutto compensi e tutto risani. Perché il senso di colpa tutto assolve. L’equilibrio è ripristinato e la coscienza è salva.
Poi arriva il Seder e tutta l’attenzione dei commentatori è sui quattro figli, sui loro pregi e sui loro difetti. Sulle loro domande e sui loro silenzi. E il padre sta lì a osservare e a rimuginare, cercando risposta agli interrogativi. O ai silenzi. E sa che tutti si aspettano parole di saggezza che non riuscirà mai a trovare, perché ogni parola ha diritto alla contestazione e a mille alternative possibili. Ed è tua figlia, di solito, a sollevarle le contestazioni, anche solo per il gusto di guardarti sorniona negli occhi.
Poveri Padri! Forse allora è un gesto di protesta da parte dei padri che, a Venezia, quando si canta Chi sapesse chi intendesse (Echad mi yodea’), giunti a ‘Tre Padri nostri’ si battono forte i pugni sul tavolo. I padri vogliono così affermare la loro esistenza, far sentire la loro presenza, come dire ‘ricordatevi di noi, che siamo qui’.
Eppure, il povero Giacobbe lascia la sacra terra di Canaan solo per andare a rivedere il figlio Giuseppe, per recuperarlo, per salvarlo dall’esilio. E spera di tornare, confidando nella promessa divina: “Sono qui, Io sono con te, ti proteggerò ovunque tu vada, e ti riporterò a questa terra, perché non ti abbandonerò finché non avrò fatto quello che ti ho detto” (Bereshit 28:15). Giacobbe sceglie il proprio destino e, per salvare il figlio dall’esilio, in quell’esilio muore. L’amore si paga.
Dio mantiene la promessa, in qualche modo, e la salma di Giacobbe ritornerà in Canaan, ma ci ritorneranno più tardi anche i suoi discendenti. Anche Giuseppe morirà in Egitto, ma si fa promettere che anche le sue ossa saranno un giorno portate in terra di Canaan.
Giacobbe non vede esaudita la promessa divina, ma, da uomo di fede, sa che non potrà essere altrimenti. E Giuseppe sa che non può comportarsi diversamente da come si è comportato suo padre. Vale l’esempio, ed è così che si costituisce la tradizione, ed è così che la si osserva.
I figli interrogano, talora anche con il silenzio. I padri sanno di avere il dovere di rispondere, talora anche con il silenzio. I figli sanno come capire.
Dario Calimani, Università di Venezia