Di generazione in generazione / 7
“Un patto morale da rinnovare”

L’esteso fenomeno del Coronavirus, la sua pericolosità che impone isolamento e distanza sociale, ci costringe ad usare ancor di più l’ingegno e a trovare nuovi valori intrinseci alle nostre tradizioni millenarie, nuove parole per rivolgersi l’uno all’altro, alla nostra società globalizzata, alla nostra stessa condivisa immagine divina. Le parole delle preghiere espresse maggiormente attraverso linguaggi interni, che faticano a includere l’umanità intera, tutti coloro che soffrono e muoiono, ci stimolano a trovare nuove formule, anche antiche, per poter pregare D-o dell’universo con l’intimità del linguaggio particolare al quale siamo abituati. Non solo per le nostre comunità ma per l’umanità intera, tutta creata ad immagine divina. Da varie parti, ebraiche e non, si avverte la ricerca di un linguaggio, la consapevolezza e la ricerca di una preghiera che abbia una vocazione universale. Si rinnovano gli sforzi di condividere preghiere pubbliche con capi religiosi delle varie religioni abramitiche, bibliche o del libro, come si è solite chiamarle, e si rinnova la consapevolezza e la ricerca di un linguaggio civile e religioso universale. La consapevolezza che, come esponenti civili e religiosi, dobbiamo e dovremo a seguito della malattia che colpisce tutti ed ovunque abituarci ad essere e dare voce all’umanità intera che si trova soffocata dinanzi all’infinito. In questi giorni è stata resa pubblica in italiano la bella preghiera proposta del Beit Midrash di rav Steinsaltz che recita tra l’altro: “Sovrano dell’universo, Padre di misericordia, Signore della giustizia, Abbi pietà e salva i Tuoi figli e i tuoi fanciulli che dimorano nel tuo mondo, quel mondo che hai creato con amore incondizionato. Salvali da un nemico invisibile, riscattali dalla morte, proteggili dalla minaccia…Guarisci completamente i malati e i conteggiati, quanti respirano con l’aiuto delle macchine, coloro che sono in isolamento e solitudine…”. Dopo aver pregato, come è dovuto e naturale in particolare per gli ammalati del popolo d’Israele, finisce la sua preghiera in stile chassidico con le parole: “Padre di misericordia, fedele al Tuo patto, è già venuto il momento che Tu mandi al Tuo mondo un annuncio di salvezza e di redenzione”. Rav Steinsaltz invita poi a recitare, come è di uso nella tradizione ebraica, i tehilim (salmi) e offrire Tzedaka come è d’uso in Israele in momenti di pericolo di vita (e non) dai tempi antichi, ancor prima della distruzione del Tempio, e come leggiamo in sinagoga durante Kippur, e con maggiore forza dopo la distruzione. Come dice il versetto “Tzedaka riscatta la morte”, come hanno stabilito i maestri. “Teshuvà (pentimento) utefilà (la preghiera profonda) utzedaka (la misericordia e offerta di cuore e di denaro per chi ne ha bisogno, Ma’avirin et Ro’a ha Gezerà) fanno cancellare il decreto divino (come può essere nel nostro caso la stessa pandemia del Coronavirus).
Anche in Inghilterra i capi religiosi si sono incontrati tramite mail per riflettere sui significati della pandemia e hanno condiviso una riflessione religiosa sulle difficoltà medica nella quale si trova il mondo, concordando che in chiave di lettura religiosa le difficoltà possano servire ed essere interpretate come un richiamo religioso spirituale ad interiorizzare lo sguardo dentro di sé per trovare le energie e i doni vitali offerti all’uomo dalla divinità e con essi riuscire a collegarsi, con il richiamo divino, con se stessi in privato, ma anche con la collettività, la comunità e le sue necessità pubbliche e private, cercando di sollevare chi soffre ancora più di me, a partire dall’esempio che offrono gli stessi medici e il corpo sanitario.
I capi religiosi inglesi hanno voluto finire questo dialogo interreligioso con una recitazione a tre del salmo 23 “D-o è il mio” mostrando così l’universalità della preghiera e della recitazione dei salmi in momenti di pericolo, con fiducia di trovare salvezza e riscatto nella vicinanza del divino. Anche a Firenze, città del dialogo, il sindaco ha sollecitato i capi religiosi, come ai tempi dell’11 Settembre, ad offrire un momento di preghiera pubblica in piazza della Signoria per mostrare l’unità e la solidarietà della città in questi momenti difficili. Ed ecco che presso la nostra scuola fiorentina per il dialogo interreligioso (FSD) è giunta una bellissima riflessione del principe El Hassan Bin Talal di Giordania sugli esiti e sulle lezioni da imparare della diffusione mondiale della malattia che ci costringe a suo avviso a cambiare prospettive e ad adottare nuovi atteggiamenti sociali, culturali, economici e religiosi verso una maggiore coesione e interdipendenza universale. Cosi scrive nella sua lettera il principe giordano (di religione islamica): “La nostra solidarietà con gli altri, come la compassione per gli ammalati e gli afflitti, deve inoltre nascere dalla nostra indole umana e dal nostro senso civico. L’intera umanità deve unirsi, coordinare i suoi sforzi e condividere le informazioni e il sapere per uscire da questa catastrofe che colpisce tutti noi senza distinzione alcuna tra ricchi e poveri, tra giovani e anziani, né tra etnie, razze e credenze. L’unica soluzione per qualsiasi crisi inizia dalla presa di coscienza degli uomini, dalla solidarietà e dal consolidamento del principio della sicurezza democratica”.
“Questi momenti sorprendentemente eccezionali – prosegue il principe – rappresentano un’opportunità per essere umili e riconoscere i nostri limiti in quanto esseri umani, e la necessità di condividere lo sforzo per il bene comune ed il beneficio di tutti di creare solide dinamiche di interazione e ristabilire la fiducia tra il pubblico e i funzionari statali e non. Bisogna inoltre lavorare per sviluppare meglio una visione umana, orientata verso la scienza e la tecnologia, che richiede di soddisfare le necessità dei poveri, degli emarginati sociali e in senso lato delle classi più deboli. I servizi e i prodotti siano una priorità assoluta”.
Continua poi a sottolineare l’importanza della salute psichica e mentale, la forza che offre la fede, i rinnovati sentimenti morali che possono scaturire dalla crisi mondiale dovuta alla pandemia: “Non dobbiamo dimenticare l’importanza di costruire una ‘immunità psicologica’ e migliorare il livello di offerta dei servizi per la salute mentale, l’appoggio sociale per proteggere noi stessi e gli altri. L’integrazione armoniosa del corpo, la mente e l’ambiente circostante, sono la chiave per costruire una società più sana e sicura”.
“È necessario – aggiunge il principe giordano – lavorare con tutti i mezzi tecnologici per diffondere la speranza e ricordare l’efficacia della fede che massimizza e rafforza le nostre credenze e la nostra umanità, anziché diffondere false notizie, pettegolezzi, retorica propagandistica e diffamazioni contro la sofferenza e il dolore del prossimo. Era necessario avere una forte scossa per svegliare la nostra coscienza umana. Una scossa che ci facesse uscire dall’illusione della dominazione e della supremazia, unita al sentimento ingannevole dello sfruttamento del prossimo e del trascuramento della morale umana”.
Assistiamo quindi a dei ragionamenti e a un risveglio di coscienza nell’ambito di tutte e tre le religioni e civiltà abramitiche. A una volontà di reagire al disaggio del virus con una rinnovata interiorità e integrità personale, con un rinnovato senso della collettività e della solidarietà della società umana. Non invano lo stesso principe richiama e accosta la preghiera del rabbino Steinszaltz e la tradizione ebraica al dovere della Sadaka islamica, la compassione sociale come uno dei doveri principale del fedele.
Tutte queste riflessioni, oltre ad offrirci un rinnovato senso del valore della vita, rinnovano in noi la solidarietà umana allargata a tutta la nostra specie umana ovunque si trovi e dia segni di vita. Ci offrono l’occasione di essere ancora più consapevoli dell’importanza e del valore del dialogo interreligioso che, al di là delle differenze storiche e teologiche di ognuna delle esperienze religiose di rivelazione, tramanda nella loro profondità valori universali e condivisi: il valore della vita di ogni uomo o donna, il richiamo alla partecipazione e a provare compassione per la vita della società e della comunità nel senso più lato ed allargato, al dovere di sentirsi solidale col dolore dell’altro e alla necessità di impegnarsi per il futuro della stessa umanità attraverso un lavoro comune che mira a migliorare le condizioni di vita dell’uomo di oggi e di domani, inclusa la riscoperta della voce divina che brilla dentro la nostra mente e le nostre coscienze e ci offre una speranza ed una visione globale della storia dell’umanità, anche se in giorni “normali” è suddivisa in famiglie e gruppi nazionali separati. Ci richiama a riscoprire la dimensione alta e divina della nostra vita e la nostra società, valori che coincidono in modo così vicino ed armonioso con i valori che noi, il popolo ebraico, festeggiamo proprio in questi giorni: l’uscita dalla schiavitù verso una liberazione mentale, etica e religiosa in una Terra Promessa che ci offre l’occasione di poter rinnovare e riscoprire assieme alla nostra storia particolare di liberazione la storia dell’intera umanità. Noi rivolgiamo quindi la nostra preghiera al D-o di Israele, di Abramo, Isacco e Giacobbe che questa promessa e scommessa non sarà dimenticata. La promessa e il patto con l’umanità, stipulato con Noè e i suoi figli e rinnovato con Abramo e i suoi figli Isacco e Giacobbe, di essere fonte di benedizione per la famiglie della terra intera. Rivolgiamo all’altissimo le nostre speranze e preghiere, grazie agli sforzi dell’uomo, alla sua intelligenza e alla sua scienza, nel ricordo del patto divino con Adamo, Noè Abramo e Mosè, e con loro tutti i profeti d’Israele che non hanno smesso di sentire e reclamare la voce e la promessa divina del patto con l’uomo, chiara come i colori dell’arcobaleno, una promessa e guida divina per la Sua umanità, con la rinnovata consapevolezza dell’uomo dei suoi misfatti, in rapporto al suo fratello, vicino o lontano, per il quale doveva sentirsi responsabile, e la sua disattenzione ai bisogni della terra e l’universo, questo Eden che gli fu donato per coltivarlo e custodirlo.
Col rinnovo del patto del senso morale della vita dell’uomo, garantito e amplificato della presenza divina, questi giorni potranno essere ben presto dimenticati, dando nascita ad una nuova epoca, di rinnovata moralità e senso di responsabilità umana, ove tutte le nazioni si uniranno. E l’umanità tutta in cerca dei principi di moralità, in cerca della vicinanza di D-o della casa di Giacobbe. Come promise il profeta Isaia.

Rav Joseph Levi

(8 aprile 2020)