Ticketless – Chiaromonte,
il cinese e il concetto di limite
Durante questi giorni di attesa il Midrash di Svevo sugli ordigni ha suscitato reazioni fra i miei quattro affezionati lettori. Tante domande alle quali non so rispondere. La malattia di cui si parla può essere il contagio di un virus? Svevo aveva presenti i danni prodotti dalla Grande Guerra, anche della spagnola. Un laboratorio di analisi in Cina può essere il punto da dove il danno causato sia maggiore come ipotizzava lui? Proverò a ripensarci, perché, secondo me, non potrà più essere quello di prima nemmeno il nostro modo di confrontarci con la memoria e con la storia. Occorrerà ripensare tutto: luoghi della memoria, memoriali, mostre e musei sulla Shoah, 27 gennaio, Tribunale dei Giusti, didattica della Shoah. Non potremo nemmeno più leggere i classici nello stesso modo. Nulla sarà più come prima, ma adesso è prematuro parlarne. Un’amica che mi è molto affezionata mi ha consigliato di smetterla di fare l’apocalittico e pensare ad altro. Ha ragione.
Questa settimana allora mi limito a segnalare l’ultimo numero di una rivista che pubblica sempre contributi di grande interesse, “Una città”. Il postino, che da me adesso arriva due volte la settimana, mi ha consegnato l’altro ieri il numero di marzo Lo considero un piccolo miracolo. Questo numero contiene molte cose interessanti. Una lunga intervista, a cura di Barbara Bertoncin e Bettina Foa, alla figlia di Ugo La Malfa, Luisa. Si imparano molte cose su quell’altro Grande: sul suo rapporto con Vittorio Foa, sulla Milano di Mattioli, sulla casa di Roma di fronte alla Sinagoga, su Edoardo e Nella Volterra, sulla Fnism e una scuola che oggi tutti rimpiangiamo (con un bel ricordo di Emma Castelnuovo, insegnante di matematica). Sempre in questo numero troviamo un’intervista a Marco Vigevani, che parla dei progetti futuri del memoriale di Binario 21, un luogo dove appunto dovrebbero riprendere i nostri discorsi sulla memoria. Ci sono poi gli acuti “Ammaestramenti del Coronavirus” di Marco Vitale e una preziosa anticipazione, curata dalla nipote Gaia Servadio, del memoriale di Massimo Adolfo Vitale, redatto nel 1946 dopo la missione a Varsavia in rappresentanza del governo italiano e delle comunità ebraiche. Una delle prime testimonianze sulla Shoah. Veniamo informati che questo memoriale sarà presto pubblicato in un libretto proprio nella collana della rivista “Una città”. Il fascicolo però riprende un aneddoto dell’indimenticabile, grande Nicola Chiaromonte. Ed è questa la delizia fra le delizie, un altro Midrash che voglio mettere accanto agli ordigni di Svevo.
Chiaromonte attribuiva al concetto di “limite” un’importanza fondamentale. Gli piaceva raccontare di un contadino cinese che aveva un piccolo podere, chissà magari a Wuhan. Non c’era acqua, e lui doveva ogni giorno con fatica andarla a prendere lontano. Un altro contadino gli dice: “Ma perché non fai come me?”. E gli fa vedere un complicato sistema di ruote, carrucole, funi, canaletti di bambù per estrarre l’acqua da un pozzo e farla arrivare dove serve senza rompersi la schiena. Il primo cinese dice: “Non lo voglio, perché l’acqua così diventerebbe furba”. Sembra di sentirlo quest’altro grande profeta, fra l’altro sensibilissimo alla questione ebraica. Chiaromonte andrebbe riletto con calma. Sospettava di una tecnologia che non tiene conto dei ritmi della natura e dei limiti. Un’azione non si qualifica solo per la sua natura, ma per la sua misura. Fare dieci è una cosa, fare venti della stessa cosa è un’altra.
Alberto Cavaglion