I tre lettori
Secondo Micah Goodman, autore dell’interessante saggio L’ultimo discorso di Mosè (Giuntina), sono tre le letture, e dunque anche i tipi di lettore, del Tanakh da un punto di vista ebraico. C’è il lettore fondamentalista, che considera la propria coscienza e i propri valori irrilevanti di fronte alla volontà divina che il testo fa emergere. Per questo lettore non può esserci tensione tra coscienza e testo biblico, quello che conta è esclusivamente la sottomissione della prima al secondo. C’è poi il lettore anarchico, che cerca di risolvere le tensioni tra valori individuali e testo riducendo il secondo ai primi. Il suo obiettivo è fare l’apologia del testo dopo averlo però smussato e rimodellato sulla base delle proprie convinzioni. L’approccio di questi primi due lettori è differente eppure convergente nell’accettare la totale autorità del testo, di cui non si riconoscono le contraddizioni: in un caso si fa violenza alla propria coscienza per aderire al testo, nell’altro si armonizza a forza il testo sulla base della propria coscienza.
C’è infine il lettore perplesso, colui cioè che cerca di avvicinarsi al testo nel suo reale significato ma non è disposto a sopprimere i propri valori, anche quando tra quello e questi esiste tensione. La perplessità, secondo Goodman, nasce da una sensazione di legame e di responsabilità nei confronti del testo e della memoria che fonda e perpetua una tradizione. La perplessità è antidoto a quella diffusa devozione che, confondendo i mezzi con i fini, si rovescia in idolatria, e anche al disossamento delle fonti della tradizione ebraica sulla sola base delle momentanee esigenze del presente. Consente e anzi impone di guardare con occhio critico, ponendosi però sempre all’interno e non, come fa il figlio malvagio dell’Haggadah di Pesach, all’esterno. Il lettore perplesso è forse il quinto figlio, colui che impara a fare le domande, e che sa che queste contano anche più delle risposte.
Giorgio Berruto
(23 aprile 2020)