Re, patria, comunismo
È triste dover constatare ogni anno che il 25 aprile continua ad essere considerata una festa che non appartiene a tutti. Da un lato ci scandalizziamo (giustamente) vedendo alcuni personaggi politici, che magari si dichiarano pure grandi amici degli ebrei, rifiutarsi di festeggiare la fine della caccia agli ebrei in Italia. D’altra parte noi stessi spesso siamo infastiditi quando ci sembra che la festa sia troppo edulcorata, e applaudiamo fino a spellarci le mani i vecchi partigiani che nei loro discorsi prendono posizioni “di parte” sulla politica di oggi. Ammettiamolo: non tutto ciò che gridiamo e cantiamo il 25 aprile può essere davvero condiviso da chiunque non sia fascista. Quanto saremmo disposti a rinunciare alle nostre tradizioni e usanze purché la Liberazione diventi una festa condivisa? Non saprei come rispondere a questa domanda. Chissà, forse insistere su quanto il 25 aprile sia importante per noi ebrei indipendentemente dalle nostre opinioni politiche potrebbe essere utile, così come potrebbe essere utile celebrare non solo i partigiani ma tutti coloro che hanno combattuto per liberare l’Italia: se prendessimo l’abitudine di sventolare anche bandiere inglesi, americane, ecc. sarebbe un po’ difficile dire che si tratta di una festa comunista; e forse anche la Brigata Ebraica sarebbe meno sola e meno contestata. Tra i canti non particolarmente comunisti che mi piacerebbe ascoltare occupa senza dubbio un posto d’onore l’inno del 28° Battaglione Maori che scandiva le gite in montagna della mia infanzia cantato dall’amico Silvio Ortona. Solo da poco tempo grazie al potere di internet sono riuscita a ritrovare il testo:
Maori Battalion march to victory
Maori Battalion staunch and true
Maori Battalion march to glory
Take the honour of the people with you
We will march, march, march to the enemy
And we’ll fight right to the end.
For God! For King! And for Country!
AU – E! Ake, ake, kia kaha e!
(Quest’ultimo verso viene tradotto in inglese “Forever and ever be strong!”)
Forse il 25 aprile è anche questo: pensare a un ex comandante partigiano ed ex deputato comunista che per molti anni incanta una moltitudine di bambini cantando di marciare verso la gloria per la patria, per Dio e per il Re. Perché la Resistenza è stata anche questo: persone con culture diverse e valori diversi che hanno combattuto fianco a fianco fino a scambiarsi le canzoni. Anche allora Silvio, quando ci spiegava la traduzione, non risparmiava l’ironia su quel testo che non è esattamente ciò che canteremmo se dovessimo esprimere i nostri valori personali. Ma da lui abbiamo imparato che non solo chi ha le nostre stesse idee e la nostra stessa cultura merita di essere ricordato con gratitudine.
Ma le differenze sono poi così marcate? “Bella ciao”, per esempio, cantata spesso anche fuori dall’Italia, non parla certo di bandiere rosse o di sol dell’avvenire, anzi, sfido a trovare nel testo un riferimento a una qualunque ideologia: si parla solo di un non meglio identificato invasore che (si afferma implicitamente) deve essere combattuto. Insomma, se stiamo alla lettera del testo non possiamo non definirla una canzone quanto mai patriottica, e si fatica a comprendere come possa dispiacere a chi parla continuamente di patria.
Anna Segre
(24 aprile 2020)