I rabbini italiani e il nuovo decreto
“Spiritualità bene da tutelare,
pronti a ripartire in sicurezza”
“Abbiamo tutti l’obbligo di rispettare le regole di salute pubblica. Ma fa parte della salute del singolo e della società anche l’armonia dello spirito con il corpo”. Così il rabbino capo di Roma, rav Riccardo Di Segni, in una nota in cui ha commentato il decreto governativo sulla cosiddetta fase due e in particolare i passaggi concernenti la fruizione dei luoghi di culto. Per il rav Di Segni, in uno scenario di situazione sanitaria ancora allarmante come la prospettiva di disastri economici e sociali che ne deriveranno, “esistono modi per garantire accessi sicuri e riunioni di preghiera nel rispetto delle norme sanitarie”. Il governo, afferma il rabbino capo di Roma, “sta prendendo in questi giorni decisioni gravi e difficili, ma non dovrebbe trascurare le esigenze spirituali delle collettività religiose, ciascuna con le sue specificità”. Sono proprio queste collettività, conclude, “che garantiscono, insieme alle altre, la tenuta sociale e lo sviluppo”.
Per rav Giuseppe Momigliano, rabbino capo di Genova e assessore al Culto dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, “sarebbe molto importante che si riuscisse a trovare il modo, con l’adozione di tutte le misure di sicurezza necessarie, per far ripartire le funzioni in sinagoga o in altri spazi comunitari”. Aggiunge poi il rav: “Nel momento in cui si iniziano ad aprire altri luoghi, dai musei ai negozi, risulterebbe poco comprensibile un blocco all’attività religiosa. È bene ricordare che la preghiera pubblica, in un determinato spazio, non può essere sostituita dalla preghiera in collegamento. A distanza si può studiare. Ma non pregare”.
“Come qualsiasi altra istituzione – dice il rav Adolfo Locci, rabbino capo di Padova – dobbiamo agire in conseguenza a quanto stabilisce chi ci governa, senza esporci in giudizi”. Fondamentale, quando ci sarà un via libera, “sarà il tema della formazione, per far rispettare in modo corretto tutte le specifiche che saranno indicate”. Rav Locci porta l’esempio della sua Comunità: “La nostra sinagoga non è molto grande e ha un unico accesso. Sarà perciò necessario qualche accorgimento. Penso ad esempio a un dispenser con amuchina all’ingresso, ma anche a partecipazione alle funzioni limitata o a chiamate al Sefer da svolgersi in modo diverso dal solito. Tutte possibilità da studiare con attenzione. Riapriremo però solo se saremo capaci di far rispettare le regole. Tutti i fruitori dei nostri servizi – sottolinea – devono essere garantiti”.
“Lo Stato ha il dovere di salvaguardare la salute e la sicurezza pubblica. Ma non può legiferare sul diritto o meno di svolgere una funzione. È un tema morale ed etico su cui è necessario imporsi. È tempo che, con tutte le misure che si riterranno necessarie, si riaprano le sinagoghe. Non si può andare oltre il 4 maggio”. È la posizione del rav Alexander Meloni, rabbino capo di Trieste. “Le persone – prosegue rav Meloni – hanno bisogno di conforto, anche spirituale. Tante le ferite che questo periodo di quarantena ha suscitato in tutti noi. Se riaprono i musei, a maggior ragione devono aprire anche i luoghi di culto”. Per rav Meloni serve una linea intransigente: “Abbiamo rinunciato a Pesach, non possiamo replicare con Shavuot”.
(28 aprile 2020)