Le difficoltà nel day after

Chissà se esiste un legame fra la crisi provocata dal coronavirus e i nuovi assetti dell’editoria italiana.
Diceva Samuel Taylor Coleridge che l’uso dell’intelligenza implica la capacità di creare rapporti. Mettiamoci alla prova.
Anche chi non sia un filogovernativo per natura o per tendenza può notare che qualunque decisione prenda questo governo per affrontare la crisi provoca vibrate proteste da parte di tutti, per motivi diversi e talora del tutto opposti. Proteste immediate e talora assai poco poco meditate. Tutti sanno benissimo quali provvedimenti alternativi si dovrebbero adottare, in una situazione che non ha precedenti, che non prospetta soluzioni precostituite e che non garantisce esiti certi. Eppure nel nostro mondo siamo tutti esperti epidemiologi, esperti virologi, esperti di economia e di finanza. Esattamente come siamo tutti tecnici della nazionale di calcio.
Se guardi bene, ti accorgi che ciascuno vede la situazione e la soluzione dalla prospettiva del proprio orticello. C’è chi pensa al portafoglio, c’è chi pensa alla passeggiata o alla vacanza, c’è chi pensa ai diritti costituzionali, e chi ai diritti inalienabili dell’uomo in una società che aspira alla dittatura. C’è anche chi si preoccupa delle esigenze dello spirito da soddisfare in pubblico e coralmente, davanti a un altare fiorito. Io, lo confesso e me ne vergogno molto, penso soprattutto alla vita, e mi rendo conto di essere un egoista senza pari. Probabilmente merito anche una sonora fustigazione.
Comprendo naturalmente, come ognuno noi, le esigenze altrui, e vedo le difficoltà a cui si aprirà il futuro nel day after della crisi. Sarà un disastro, e ci vorranno uomini preparati, onesti, lungimiranti per risollevare il paese. Ma il mio unico pensiero, la mia unica preoccupazione va a coloro che non arrivano a fine mese, che non sanno come nutrire i propri figli, o che vivono per la strada, alla giornata. Vorrei che lo stato riuscisse a scremare i bisognosi, quelli veri, dagli approfittatori, dai pescecani che, come in ogni guerra, anche oggi pensano solo a come ricavare beneficio indebito e illegittimo dalla vendita delle mascherine. Criminali allo sbaraglio con il pelo sullo stomaco. Vorrei che lo stato fosse in grado di aiutare coloro che hanno bisogno di essere aiutati. Gli ultimi.
Quando ci si accorge che gran parte dell’assedio al governo è dettata da motivazioni politiche, da calcoli elettorali, si è presi dallo scoramento. Chi è responsabile di indirizzare il pensiero e i sentimenti della gente che lo vota ha di mira non tanto il bene sociale quanto l’esito della prossima tornata elettorale, ed è solo intento a sollevare polveroni. E, come se non bastassero le disturbanti contraddizioni fra esperti virologi ed epidemiologi e gli infiniti interrogativi sulle cure e sui vaccini e sui tempi della remissione e sulla possibile ricaduta, ci si mette anche la politica spicciola a proporre urlate soluzioni a una crisi di cui, in verità, nessuno ha la possibilità di prevedere dove andare a cercare il bandolo. Dietro ogni angolo si vedono inefficienze volute e complotti.
Ma i nuovi assetti dell’editoria italiana che c’entrano? Nulla, e proprio questo mi preoccupa.
Oggi anche la proprietà di grandi giornali passa di mano nel buio della notte in un periodo in cui tutta l’attenzione della gente è assorbita dalla pandemia. Ogni altro evento passa in second’ordine. In altri tempi si sarebbero letti titoloni a caratteri cubitali e ci avrebbero bombardato con talk show sull’informazione asservita al potere finanziario, invece nulla. Silenzio su tutto il fronte. Anzi, il fronte di guerra proprio non si profila a nessun orizzonte.
La pandemia, ovviamente, non l’ha fatto apposta. Nessuno dovrà gridare al complotto, la pandemia è innocente. Ma il risultato c’è stato lo stesso, per pura coincidenza.

Dario Calimani