Periscopio – Incubi
Non ricordo, quand’ero piccolo, di avere fatto incubi. Anch’io, come tutti i bambini, avevo un po’ paura del buio, ma la sera io e mio fratello ci addormentavamo tranquilli nella nostra camera, accompagnati dal ticchettio rassicurante della macchina da scrivere di nostro padre, che, nottambulo, iniziava a lavorare a mezzanotte. Non rammento che i miei sogni di fanciullo siano stati turbati da sgradite presenze di lupi cattivi, orchi, streghe e cose del genere.
Ho conosciuto bene gli incubi, invece, da adulto, come tutti. Quando sono stato costretto ad apprendere a quali livelli di bassezza possano arrivare alcuni esseri umani. Come le zanzare, o i vampiri, si nutrono di sangue umano, così ci sono alcuni uomini che si nutrono solo di odio e disprezzo. E, dopo averlo succhiato, lo metabolizzano, lo rielaborano e lo restituiscono in forma di pensiero. Un pensiero di morte, più nero della notte, più venefico della peste, più maleodorante di una discarica di rifiuti.
A volte, nei miei incubi, si intrecciano cose vere e irreali. Come nella cd. “controstoria”, l’analisi delle ipotesi non realizzate, di cui ho già avuto modo di parlare su queste colonne, mi viene da chiedermi cosa sarebbe potuto accadere se, in alcuni precisi momenti di svolta, gli accadimenti umani avessero preso una direzione diversa. La fantasia permette, in questi casi, di immaginare che alcune opportunità avrebbero potuto essere colte, che le cose avrebbero potuto essere migliori. O, al contrario, che avrebbero potuto aggiungersi ulteriori catastrofi, che la storia avrebbe potuto essere peggiore, ancora peggiore di quello che è stata. Da qui, dunque, gli incubi.
L’ultimo che ho fatto è derivato dalla miscela di due scene vere, che, combinate tra loro, hanno generato una raccapricciate scena immaginaria.
La prima immagine vera è stata quella, molto toccante e suggestiva, del nostro Presidente della Repubblica che saliva le scale dell’Altare della Patria, il 25 aprile, in una Roma deserta e silenziosa, col volto coperto dalla mascherina, che veniva sfilata solo innanzi al monumento ai Caduti. In quel muto gesto di omaggio è davvero parso di cogliere un collegamento tra il dolore di ieri e quello di oggi, il senso di un cammino duro e difficile, che richiede considerazione, memoria, rispetto.
La seconda è stata invece quella di un video, del 28 gennaio 2015, nel quale, proprio in occasione delle elezioni per il Presidente della Repubblica, i leader di due importanti partiti politici italiani (diventati, nel frattempo, ancora più importanti) proponevano, come prossimo Presidente, una certa persona “coraggiosa, libera, che dice quello che pensa” (citazione testuale). Avevano ragione, il signore in questione ha confermato di essere coraggioso, libero, e di dire davvero quello che pensa. Lo ha fatto tante volte, anche di recente, nel dire, per esempio, che gli ebrei “hanno rotto” con questa storia della Shoah, o che i meridionali sono degli esseri inferiori. Lo pensa, e lo ha detto. Va apprezzato per il fatto di non avere presentato ipocrite scuse. Non sarebbe da lui.
Da qui l’incubo. Un’auto blu che si ferma davanti all’Altare. Un uomo che ne scende, e che sale lentamente le scale, col volto coperto dalla mascherina. Arrivato vicino ai corazzieri, l’uomo, lentamente, si sfila la mascherina, mostra il suo volto. Il volto di un uomo coraggioso, libero, che dice quello che pensa.
Se quell’auspicio, formulato il 28 gennaio 2015, si fosse realizzato, questo sarebbe stato il sesto anno consecutivo in cui gli ebrei e i meridionali caduti per la Patria avrebbero ricevuto, a nome di tutta la nazione, l’omaggio di un uomo come questo. A meno che, in un supremo scatto di coraggio e libertà di pensiero, non avesse deciso di interrompere questa ipocrita sceneggiata, rifiutandosi di inchinarsi in onore di esseri piagnucolosi, o inferiori. Sarebbe arrivato a essere coraggioso fino a questo punto?
Ho finalmente capito, così, perché, da bambino, orchi, lupi e streghe non mi facevano paura. È l’uomo, solo l’uomo che può spaventare.
Francesco Lucrezi