Un contrasto impossibile

Parlare di tutela della salute pubblica è fuorviante: fa pensare ai consueti saggi consigli che continuamente condividiamo e disattendiamo come praticare sport, non mangiare troppi dolci, non bere troppi caffè, insomma cose innocenti e, nella mentalità comune, innocue purché non si esageri. Forse se nel dibattito pubblico chiamassimo le cose con il loro nome e dicessimo sempre chiaramente che si parla di salvare vite umane o – più crudo ma forse più efficace – di limitare il numero dei decessi (che è già altissimo), forse alcuni nostri politici che invocano a gran voce altri principi e valori per contestare le restrizioni che ci vengono imposte in questo periodo farebbero più attenzione a quello che dicono, specialmente quando capiranno che se si assumeranno la responsabilità di un aumento nel numero dei contagi e delle vittime dovranno poi un giorno renderne conto (anche se per la verità su questo non conterei troppo: in Italia tutti hanno la memoria cortissima).
Riflettendo su questo ho trovato sconcertante che alcuni giorni fa si sia parlato di contrasti tra le esigenze di tutela della salute pubblica e il principio della libertà religiosa. Perché i casi sono due: o si ritiene che sia possibile tenere cerimonie religiose con l’assoluta certezza che queste non metteranno a rischio nessuna vita umana, e allora non si tratta di invocare la libertà di religione ma semplicemente di protestare contro restrizioni non necessarie; in tal caso si dovrebbe chiedere l’eliminazione di queste restrizioni non solo per i fedeli di questa o di quella religione ma per chiunque intenda riunirsi con quelle stesse modalità (religiosi o atei che siano), altrimenti verrebbe meno il principio dell’uguaglianza tra tutti i cittadini: sono molti i diritti sanciti dalla nostra Costituzione che in questo momento ci sono negati, perché invocarne uno solo?
Oppure si ritiene che in realtà il pericolo per chi partecipa a una cerimonia religiosa non sia realmente nullo, e allora invocare la libertà di religione significherebbe invocare il diritto di mettere in pericolo vite umane in nome di un principio superiore; superfluo dire quanto questa ipotesi sia inquietante, e fortunatamente falsa. Quale religione praticata oggi in Italia non considera la salvaguardia della vita umana come un valore che deve venire prima di tutto? Per fortuna le polemiche sono rientrate rapidamente e il mondo ebraico, per quanto ne so, non è stato coinvolto. Sarebbe stato terribile se nell’opinione pubblica si fosse creata l’immagine di un contrasto tra la religione e la sacralità della vita umana; viceversa sarebbe bello se fosse chiaro per tutti che in determinate situazioni per un credente astenersi da cerimonie religiose può essere prima di tutto un dovere religioso.

Anna Segre