Pessimismo della ragione,
ottimismo della volontà
L’inizio della fase 2, la tanto agognata riapertura, coincide con un aumento dell’incertezza e della paura. Lasciare le nostre tane, prigione ma anche protezione, è un salto nel vuoto, ed è normale che le nostre reazioni siano incerte e altalenanti.
In attesa di soluzioni da parte della scienza medica, dobbiamo affidarci alla capacità nostra e di chi ci governa di assumere la responsabilità individuale e collettiva del prossimo futuro.
Ed è proprio tra responsabilità individuale e collettiva che si giocano le partite della ripresa nei vari Paesi. Chi riapre tutto senza controlli particolari, affidando al senso civico ed etico dei cittadini la responsabilità di contenere i contagi. Questo avviene soprattutto nei Paesi del Nord, dove al coscienza civica è più sviluppata e più sviluppato il controllo sociale, peer to peer. E dove la fiducia dei cittadini nel governo è più alta.
C’è chi si affida ai controlli tecnologici, al tracciamento digitale, all’utilizzo massiccio della polizia e addirittura dei servizi segreti. Sono i Paesi a orientamento dittatoriale, che hanno tutto l’interesse a mantenere i cittadini allo stato infantile per poterli meglio controllare e manipolare. A questi si ispirano anche le democrazie populiste, che aspirano a diventare demodittature, cioè dittature che si impongono con il consenso degli elettori.
Tra questi due poli, c’è chi cerca una soluzione intermedia, non fidandosi completamente della disciplina e del buon senso dei cittadini, ma dovendo render loro conto – e con “loro” intendo anche i partiti, i parlamentari, le istituzioni, i media – delle scelte varate. È la posizione più difficile, ma anche quella più interessante, dove dovrebbe prevalere “il pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà”, come scriveva Gramsci.
Pessimismo vuol dire tener conto dell’individualismo degli italiani, della mala educazione delle ultime generazioni cresciute senza sacrifici, pensando che tutto è dovuto, e che ci sono solo diritti senza doveri. Della mancanze di cultura scientifica (ma anche umanistica) che ha consentito di mettere allo stesso livello sui social gli importatori di ananas e i premi Nobel, di contestare gli insegnanti, di utilizzare la retorica dell’insulto invece di quella del dibattito. Ottimismo vuol dire tenere in considerazione il comportamento dei cittadini negli ultimi mesi, la solidarietà, la responsabilità, la creatività con cui gli italiani hanno gestito il confinamento. E avere fiducia negli scienziati, che in due settimane sono riusciti a sequenziare il virus, che stanno sperimentando farmaci diversi con risultati promettenti, che hanno iniziato in alcuni ospedali a testare la plasmaferesi, che in diversi laboratori sembrano vicini a mettere a punto un vaccino (anche se i tempi per poi averlo disponibile sono molto lunghi).
Quale può essere questa soluzione intermedia? Se avessi la risposta potrei ambire al Nobel, ma ci sono due punti che credo debbano essere tenuti in considerazione. Il primo è una domanda, alla quale non ho trovato risposta. Perché la tabella di marcia della riapertura deve essere uguale in tutte le regioni, e non tiene invece conto della situazione locale dei contagi? Regioni come la Basilicata e il Molise, con circa 300 casi totali, la Sardegna, la Calabria, l’Umbria e la Valle d’Aosta, con meno di 1.400, perché non possono tornare alla normalità, fatte salve le opportune precauzioni, ma devono aspettare che si sblocchino la Lombardia e il Piemonte? Per alcuni settori, per esempio la scuola, ha senso l’omogeneità nazionale. Il divieto di muoversi al di fuori della propria regione è prudente (salvo consentire ai residenti di regioni limitrofe, con un basso numero di casi, di stabilire accordi di spostamento intraregionale). Ma non avrebbe un effetto positivo per l’economia locale e nazionale consentire una ripresa più rapida laddove il contagio sembra debellato? E non sarebbe utile verificare la riapertura con sperimentazioni in piccola scala, in modo da verificare i modelli senza mettere a rischio tutto il Paese?
Il secondo punto riguarda il tracciamento digitale. Che sicuramente può essere utile, ma pone moltissimi problemi etici e pratici. Il tracciamento serve solo se è utilizzato dalla maggioranza della popolazione, se è implementato dalla capacità di fare esami, tamponi e dare assistenza a tutti i contatti di ogni infettato, e se c’è chi poi dà seguito alle informazioni ricevute dalla App. C’è poi il problema di quale tecnologia sia meglio utilizzare (gps o bluetooth), di come garantire l’anonimato, e di chi detiene i dati. Siamo il Paese in cui ogni giorno informazioni riservate e registrazioni coperte da segreto istruttorio arrivano sulle prime pagine dei giornali. È vero, i nostri dati già li maneggiano, senza il nostro consenso e senza che ne siamo consapevoli, i grandi colossi del digitale. Ma non sono, almeno per ora, il potere politico. C’è chi suggerisce che le informazioni possano rimanere nella memoria dei singoli smartphone ed essere scaricati solo in caso di necessità e in modo anonimo. Personalmente mi sembrerebbe più ragionevole, ma rimane la questione di fondo: l’occhio che controlla dall’alto non finisce per deresponsabilizzare i cittadini e per acuire il piacere della trasgressione? Sogno un politico che sappia rivolgersi ai cittadini come a persone adulte, chiedendo senso di responsabilità e sacrifici, come fece Churchill rivolgendosi agli inglesi all’inizio della Seconda Guerra Mondiale: “Non ho nulla da offrire se non sangue, fatica, lacrime e sudore. Abbiamo davanti a noi molti, molti lunghi mesi di lotta e di sofferenza. Voi domandate, qual è il nostro obiettivo? Posso rispondere con una sola parola: la vittoria. La vittoria a tutti i costi. La vittoria nonostante tutto il terrore. La vittoria, per quanto lunga e difficile la strada possa essere, perché senza la vittoria non c’è sopravvivenza”.
Purtroppo l’impressione è che i nostri politici non sanno chiedere sacrifici, ma cercano di tenere la gente tranquilla con promesse che non potranno realizzare. E invece di stilare progetti coraggiosi consultano i sondaggi d’opinione.
Viviana Kasam
(4 maggio 2020)